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Liliana Laera, dal 2010 a Roma

02-01-liliana laeraNOCI (Bari) – E poi ci sono i sogni. Quelli per cui si lotta quotidianamente, quelli per cui alcuni di noi sono pronti ad affrontare grandi difficoltà e ad assumersi altrettanto grandi responsabilità. Quei sogni per cui pochi, considerati i tempi che corrono, sono pronti a scommettere e a mettersi in gioco. Questo è ciò che, invece, ha fatto Liliana Laera che attualmente lavora a Roma con la compagnia teatrale ensamble ricci/forte.

Ha deciso di sognare, di respirare, pur consapevole di ciò che questo comporta oggi: sacrificio. Noci resta sempre il punto di riferimento per chiunque decida di intraprendere una nuova vita lontano, dove sentirsi a casa, il proprio rifugio. Eppure per Liliana Laera c'è ancora tempo per sognare.

Dopo esserti laureata nel 2006 in Lettere e Filosofia presso l'Università di Bologna ed esserti diplomata nel 2009 alla Scuola di Teatro Alessandra Galante Garrone, nel 2011 ti trasferisci a Roma. In questi anni hai mai pensato alla possibilità di tornare a Noci?

Ci sono state diverse volte in cui ho pensato di ritornare a Noci. Questi momenti corrispondevano spesso ai periodi di difficoltà lavorativa che attraversavo e che attraverso ancora oggi. Periodi durante i quali non sai come fare la spesa oppure come pagare una bolletta e pensi che ritornare a casa da mamma sia la soluzione più semplice: nessun pensiero su come gestire la propria casa, nessuna economia domestica finalizzata a risparmiare anche i centesimi e nessuna responsabilità. Dopo poche ore questo pensiero, questa possibilità, scompariva. Il mio obiettivo è troppo importante e io non ho mai scelto strade semplici.

Pensi che in un piccolo paese, quale è Noci, ci sia spazio per chi come te lavora per costruire la propria carriera nel teatro?

C'è spazio per tutti, occorre solo scegliere il posto che più ci rappresenta. Sicuramente a Noci le possibilità sono ridotte, ma credo che ci sia solo bisogno di allenamento. Allenare la mentalità di un paese a una maniera differente di respirare e mostrargli che c'è altro. Lontano da poltrone in velluto e tende rosse. Un modo che è molto più vicino alla loro vita di tutti giorni. Più vicino di quanto ci si possa credere.

Vivendo in una grande città come Roma, hai avuto modo di riscontrare differenze tra la vita di paese e quella cittadina (sotto l'aspetto sia sociale che lavorativo)?

Le differenze sono evidenti ogni volta che esco di casa. Spesso è difficile ricevere un buongiorno anche dal vicino di casa. Non ci si conosce e si è troppo impegnati a pensare alle proprie esistenze. Non si riesce a guardare al di là del proprio naso. L'unico pensiero è arrivare a fine giornata, tornare a casa, sprofondare nel divano con la faccia illuminata da uno schermo di almeno 32 pollici. Qui non c'è tempo per chiacchierare, per entrare nella vita delle persone e magari chiedersi "come va". È questo mi manca del mio piccolo paese: passeggiare per le vie del centro storico, incontrare facce familiari e decidere all'ultimo minuto di prendersi un caffè per fare due chiacchiere. A Roma bisogna correre, schizzare quando il semaforo diventa verde, fare la fila ovunque aspettando l'operatore che sta fumando una sigaretta. Roma mi piace di notte. Diventa silenziosa ed è piena di luci. E poi di notte si sente il rumore del Tevere.

Dopo tanti anni lontana da Noci, quale rapporto hai mantenuto con il paese e con le sue tradizioni?

A Noci c'è la mia famiglia ed è questo è il rapporto più forte che mantengo con il mio paese. Loro sono un pilastro importante nella mia vita. Hanno appoggiato tutte le mie scelte e continuano a farlo. Nei momenti di crisi la mia famiglia riesce a sostenermi anche a distanza. Torno appena posso, anche per pochi giorni, per poter stare con loro. Non appena varco il portone della casa dei miei genitori sento di ritrovare quella pace e quel calore che mi riportano a quando ero bambina. Nonostante questo però Noci spesso mi delude. Faccio fatica a ritrovare l'autenticità che c'era un tempo. Quelle che tu chiami "tradizioni" sono un po' scomparse e quello che conta sempre di più sono le apparenze e il desiderio costante, quasi malato, di contare qualcosa ed essere qualcuno. È anche vero che sono fuori da troppi anni e non conosco più le dinamiche di un paese che cresce, anche lui, come me. Sarà colpa delle piccole rughe ai lati della bocca che cominciano ad intravedersi che ci rendono diversi. Si fa più fatica e riconoscersi.

Cosa ti ha spinto a restare in Italia e a non trasferirti all'estero, nonostante la consapevolezza del momento difficile che stiamo vivendo e il tuo definire l'Italia come "un paese per vecchi"?

Io direi piuttosto: "Cosa mi spinge ANCORA a restare in Italia"; perché in me si sviluppa sempre più la consapevolezza di voler andare via. Sì, questo è un paese per vecchi. I giovani vengono trattati come degli incompetenti e sembra che per svolgere qualsiasi lavoro ci sia bisogno solo di "esperienza". Un giovane appena laureato o comunque con anni di studio alle spalle l'esperienza ha bisogno di farsela, quindi ha necessità che qualcuno gli dia il modo e la possibilità di cominciare a lavorare. Nessuno ha più la pazienza di insegnare un mestiere. L'altro giorno dicevo ad un amico : "Vorrei vivere in un posto dove c'è silenzio e dove la gente che incontri per strada sorride", lui mi ha detto: "Mmm dici che esiste? Ci affitto subito una stanza!". Io gli ho risposto: "Secondo me da qualche parte esiste".

Quella del teatro è una carriera che molti sognano, ma che pochi hanno la determinazione di perseguire. Credi che questo sia dovuto al senso di praticità che induce a considerare l'entità dello stipendio ottenuto a fine mese, piuttosto che a mantenere viva la volontà di seguire i propri sogni?

Risponderò a questa tua ultima domanda citando le parole del regista Stefano Ricci, regista della compagnia di cui faccio parte (ensemble ricci/forte). In una recente intervista alla domanda: "Cosa è per te la bellezza?", lui risponde: "La bellezza è la capacità di guardarsi allo specchio e sorridersi per la coerenza che si insegue."

 

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