Nativo nocese implicato in Mafia Capitale

06 14 campidoglio romaNOCI (Bari) - Spunta anche un nativo nocese nell’ordinanza di misura cautelare emessa dal Gip del Tribunale di Roma che ha portato il 4 giugno scorso all’arresto di 48 soggetti ritenuti appartenenti al sodalizio criminale denominato “Mafia Capitale”. Domenico Cammisa, è nato a Noci 47 anni fa, ed il suo nome compare nell’elenco che il giudice Flavia Costantini ha stilato e demandato agli ufficiali di pubblica sicurezza per eseguire gli ordini restrittivi (in foto piazza Campidoglio - Roma).

Al Cammisa, il Tribunale di Roma gli contesta i reati di turbativa d’asta e corruzione, e pertanto ha fatto eseguire nei sui confronti un’ordinanza di custodia cautelare ai domiciliari che Cammisa sta scontando nella sua casa di Rocca Priora, in provincia di Roma, dove risulta essere residente. Il filone d’inchiesta per cui è implicato Domenico Cammisa riguarda l’aggiudicazione di appalti per il CARA di Mineo, in provincia di Catania. Cammisa risulta amministratore delegato della cooperativa di lavoro LA CASCINA e componente del CdA della LA CASCINA GLOBAL SERVICE Srl, società con sedi a Roma ma operanti su tutto il territorio nazionale.

Secondo quanto ricostruito dagli inquirenti, gli amministratori delle società appartenenti al gruppo imprenditoriale La Cascina avevano tessuto sin dal 2011 intensi rapporti con Luca Odevaine, il “facilitatore”, che partecipava come componente del Tavolo di Coordinamento sull’immigrazione istituito presso il Ministero degli Interni dove si discuteva l’orientamento d’apertura delle sedi d’accoglienza e la destinazione degli immigrati. Domenico Cammisa, detto Mimmo, è il referente dell’area sud del gruppo La Cascina e per questo insieme a Salvatore Menolascina intratteneva rapporti con Odevaine al fine di poter gestire al meglio il CARA di Mineo ed aggiudicarsi i servizi e la gestione di quello di San Giuliano di Puglia. Ad Odevaine la promessa di una ricompensa mensile di 10mila euro se tutto fosse andato in porto che però poi lo stesso “facilitatore” ha portato a 20mila euro se si chiudeva anche “l’affaire” San Giuliano attraverso la partecipazione al bando di concorso tramite un ATI (Associazione Temporanea d’Impresa). Cinque sono quindi gli episodi documentati dagli inquirenti in cui vi è stato effettivamente il passaggio di denaro, l’ultimo risalente al 6 ottobre 2014.

Ma da dove venivano i soldi per gli atti corruttivi? Secondo quanto ricostruito dagli inquirenti e descritto da Odevaine «“LA CASCINA” aveva fraudolentemente “gonfiato” gli stipendi di circa quindici dipendenti, compresi gli emolumenti del Presidente e Vice Presidente della cooperativa, per creare, tramite la restituzione in denaro contante degli importi ricevuti in eccedenza da ogni singolo dipendente, i fondi da utilizzare per pagare le tangenti». Soldi con cui Odevaine, secondo la ricostruzione fornita da Salvatore Buzzi, «si è costruito un impero in Venezuela».

LA DIFESA DELLA COOPERATIVA - Il giorno seguente alla maxi retata, la cooperativa La Cascina diffonde un comunicato stampa a firma del presidente del cda Giorgio Federici: «Riguardo a tale circostanza – scrive il dirigente - la Cooperativa La Cascina ritiene dover evidenziare che i provvedimenti che hanno interessato alcuni propri dirigenti non riguardano in alcun modo reati di “mafia”. Nessuno dei soggetti coinvolti è accusato di aver tenuto comportamenti “mafiosi”. Il fulcro degli addebiti mossi nei confronti de La Cascina riguarda il “Centro di Accoglienza dei Richiedenti Asilo” CARA di Mineo, sito nei pressi di Catania. A tal riguardo è ferma convinzione della Cooperativa che le procedure di affidamento si siano svolte nel pieno rispetto della normativa vigente e conformemente ai criteri di evidenza pubblica. Si confida che l’Autorità Giudiziaria farà chiarezza sulle contestazioni nella convinzione che ciascuno dei dirigenti della Cooperativa abbia operato nel pieno rispetto delle norme».

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