I consigli della settimana: "FrannY", il film diretto dall'esordiente Andrew Renzi

04 14 locandina frannyI CONSIGLI DELLA SETTIMANA – Richard Gere nei panni di Franny, Theo James e Dakota Fanning, rispettivamente nel ruolo di Luke e Oliva: sono i protagonisti della prima pellicola diretta e prodotta dal regista esordiente Andrew Renzi, uscita sul grande schermo a dicembre del 2015. Un film che ha lasciato perplessi e che ha indubbiamente sbizzarrito la critica, la quale si aspettava una trama per certi aspetti molto più coinvolgente o ricca di colpi di scena.


Non si può certo dire che si tratta di un film noioso, ma che a tratti la “lentezza” che ne emerge dallo svolgimento di una trama di per sé impegnativa risulta evidente è innegabile. “Franny”, titolo del film, è anche il protagonista della storia. Un uomo milionario che, a seguito di un tragico episodio (l’incidente e la morte di due suoi grandi amici), si lascia andare alla piena disperazione trovando il suo unico conforto nell’assunzione di morfina.

Nella prima parte della storia, Franny è un uomo che vive in una stanza di un hotel di lusso, rinchiuso in se stesso e nascosto in una barba incolta e in due occhi affranti da un dolore che, nonostante il passare del tempo, appare insuperabile. A riportare la luce nella sua vita sarà una telefonata, quella di Olivia, figlia di quella coppia di amici vittime di un tragico incidente d’auto. Il suo ritorno in città in compagnia del marito, Luke, riporteranno a Franny la speranza di abbandonare quel senso di colpa e di inutilità. Proprio a loro, infatti, Franny metterà a disposizione ogni sua ricchezza in ogni forma possibile, una casa, un lavoro per Luke nell’ospedale di sua proprietà. Un affetto e un sostegno che però ben presto sfocerà in una quasi ingestibile invadenza.

Una continua escalation di stati d’animo: dall’abbandono alla gioia fino a giungere di nuovo a una condizione di totale dipendenza dalla morfina che riportano Franny dal suo completo elegante e dal foulard rosso ad un maglione bianco sporco di sangue e una barba ancora una volta incolta.
Proprio la fisicità del protagonista rappresenta uno dei primi mezzi di comunicazione con cui lo spettatore riesce ad entrare in perfetta sintonia e intimità con Franny.

Sono temi importanti quelli affrontanti all’interno del film del giovane regista, a tal punto che il rallentamento che ne consegue trova proprio in essi una quasi valida giustificazione. Il dolore di una perdita che non si riesce a superare, la dipendenza da quella che appare come l’unica consolazione e che, in realtà, non è altro che il vero e unico nemico, il bisogno di mettere a tacere ogni senso di colpa con l’incondizionato aiuto del prossimo, la tristezza e la solitudine più assoluta che sfociano nella più totale follia. Uno spezzone di vita messo in scena con realismo e senza mezzi toni, reso ancora più toccante dalla impeccabile interpretazione di un Richard Gere che, nonostante il fascino che gli appartiene, bene si inserisce nelle vesti di un uomo sopraffatto dal più assoluto dolore.

Proprio Richard Gere e il suo personaggio però mettono un po’ in ombra tutto il resto della storia, attori compresi. Il dubbio che permane resta uno solo: il film e la sua storia avrebbero catturato l’attenzione dello spettatore allo stesso modo qualora il protagonista fosse stato interpretato da un nome meno importante del cinema?

L’opera esordiente di Andrew Renzi non ha forse ottenuto il riscontro sperato dallo stesso regista, forse anche a causa di una trama a volte dispersiva o poco lineare, ma al di là di ogni critica resta un quadro ben designato di una vita non povera di difficoltà capace di trovare il suo lieto fine in una delle poche cose in grado di placare ogni dolore: l’arrivo di una nuova vita.

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