"La Passione" di Carlo Mazzacurati

palcoscenico-passione_mazzacuratiNOCI (Bari) - "La Passione" di Carlo Mazzacurati si riferisce alla Passione di Cristo messa in scena, il Venerdì Santo, in un paesino della Toscana. La consuetudine religioso-spettacolare era sospesa da alcuni anni per la morte del regista. Un altro regista ora capita a proposito: questi ha una seconda casa nel comune maremmano e viene lì convocato perché le tubature, tutte arrugginite, hanno fatto filtrare l'acqua dietro un affresco, rovinandolo, di una chiesetta attigua all'appartamento. Due laidi politicanti (pure amanti: Stefania Sandrelli, sindaco, e Marco Messeri, assessore) ricattano l'uomo che vuol tornare presto a Roma: o dirige lui la Sacra Rappresentazione o verrà denunciato alle Belle Arti (cioè la Sovrintendenza ai Beni Artistici).

Già, da questa descrizione, s'intravede l'intreccio di due fili: la politica corrotta e ricattatoria e l'alternativa rappresentata dalla religiosità popolare. Si pensi a due battute, all'inizio e alla fine. Una voce in segreteria telefonica dice: "L'Italia di oggi è talmente degenerata che nessuno s'indigna più per nulla". Dubois (il regista in crisi che non gira da cinque anni) dice all'attore (ex detenuto e ricercato) che impersona il Cristo: "Sei un Gesù perfetto, sei povero, sei ricercato, tutti ti prendono in giro". "Ma sono grasso", replica l'altro a cui viene risposto: "Anche Gesù lo sarebbe oggi". Insomma il film si mostra ambizioso non limitandosi all'affresco, più o meno bozzettistico, della provincia, né riducendosi a proporci per l'ennesima volta la crisi, esistenziale e creativa, di un artista affidata alla faccia contrita di Silvio Orlando (un po' come ne "Il caimano"). "La Passione", invece, facendo ricorso alla commedia innaffiata di grottesco e di dramma, pur senza partiti presi ideologici, ambisce a parlare delle storture dell'oggi che sono causa, tra l'altro, di una crisi culturale. Dice Mazzacurati: "la dinamica del racconto si è prestata a raccogliere questo tema in modo molto forte, come una sottotraccia che imprime un segno". Dal momento che personaggi e situazioni quasi sempre rimandano a qualcosa di più vasto e complesso, il film scricchiola sotto il peso di tale responsabilità con la conseguenza di lasciare spesso freddi e di rianimarci per singole battute, "gag" o personaggi. Se la barista polacca di Kasia Smutniak dovrebbe essere apprezzata anche come musa ispiratrice del regista che, grazie a lei e alla riuscita dello spettacolo sacro, supera la crisi creativa (scrivendo la sceneggiatura del suo nuovo film), il personaggio di Corrado Guzzanti, invece, si fa apprezzare per sé: per le capacità mimetiche e parodiche che richiamano gli interventi televisivi dell'attore. La solenne declamazione (più alla Carmelo Bene che alla Vittorio Gassman) che ostenta nel recitare la parte di Gesù o nell'esporre le previsioni del tempo come se fossero la "Divina Commedia"
(quei luoghi toscani citati e quei drammatici rovesci climatici sembrano Dante) rendono godibile il personaggio che, però, va preso come "siparietto" gustosamente comico.

Molto divertente è anche l'episodio delle fotocopie che rivela la sonnolenza degli uffici pubblici in provincia. L'assistente regista ha bisogno di più esemplari del copione per le prove della Passione. Va al terzo piano del Comune per servirsi della fotocopiatrice, ma l'impiegata, intenta all'enigmistica, lo manda alla scuola elementare perché ha la macchina guasta. A scuola il bidello, per la stessa ragione, lo rimanda al Municipio. Con una idea geniale Giuseppe Battiston piomba in una classe e detta il testo agli alunni per poter avere così le tanto sospirate copie. Durante le prove Guzzanti, interpretando i caratteri infantili davanti a sé, legge a un certo punto: "prima che il gatto canti tre volte", ripetendo lo svarione dello scolaro. Questi siparietti comici accendono il film ma sono intervalli umoristici e nulla più. Siamo convinti della buona fede del regista anche se certe coincidenze danno l'impressione del già visto: la stessa trovata della messa in scena della Passione (che Mazzacurati definisce "congegno narrativo") era stata adoperata da Davide Ferrario nel suo "Il bacio di Giuda" con la Smutniak che faceva da assistente sociale-regista in un carcere (corsi di drammaturgia per detenuti aveva seguito Battiston sotto la guida di Orlando).

Silvio Orlando, poi, oltre a interpretare sempre più spesso la parte dello "sfigato" destinato alla rinascita ("ritrovare la passione del fare, del creare, /è il/ tema al centro del film", dice il regista padovano), impersona qui, come già detto, la figura di un cinematografaro in difficoltà (come il produttore del film di Moretti). Lo stesso Battiston, pur in una parte più lunga e impegnativa, ripete il suo "cliché" di uomo sconfitto ma bonario e di buone intenzioni.


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