Ole’: Boldi e Salemme in gita in Spagna

Il nuovo film dei fratelli Vanzina, in bilico tra trasgressione e perbenismo

 

PalcoscenicoMadrid, Valencia, Siviglia, Ibiza e Formentera: sono queste le tappe di “Olé”, al Seven, film diretto da Carlo Vanzina e sceneggiato dal fratello Enrico. Si tratta di un viaggio, in agosto, di una scolaresca del Liceo Classico ”Giuseppe Verdi” di Milano. A capitanare il gruppo sono due insegnanti: quello di matematica (Massimo Boldi) e il professore di Lettere (Vincenzo Salemme). La comitiva incontra un’altra classe: si tratta di studenti americani guidati dall’insegnate di Educazione Fisica, Daryl Hannah.Gli studenti italiani e quelli americani s’incrociano spesso nel loro itinerario: ciò offre il destro a simpatie tra allievi e ad amori tra insegnanti fino al matrimonio, a Venezia, tra Boldi e Hannah.

 

Quest’ultima è una vedova sentimentalona che s’innamora dell’anziano collega italiano perché assomiglia al marito morto. Il film è allo stesso tempo facilone (troppe coincidenze nella sceneggiatura e intermezzi farseschi) e riflessivo (si pensi allo spazio dedicato alla timidezza maschile o alla cialtroneria nel rapporto con l’altro sesso). La comicità, a metà tra il riserbo milanese e la sfacciataggine napoletana, è a corrente alternata: in parte si basa sulla sfrontatezza, in parte sulla dabbenaggine. Massimo Boldi si è ritirato dalle sue precedenti esperienze comiche perché, a suo avviso, i film di Natale avevano spinto un po’ troppo sul pedale della volgarità. Qui il massimo di ”sgradevolezza” si raggiunge nella scena della puntura interrotta dalla telefonata quando Salemme lascia l’ago nel deretano di Boldi per rispondere al telefono. Quanto alla castigatezza del film si pensi ai pudichi incontri di Natalia Estrada con il cugino del re: i due amanti, sotto le coltri, sono stranamente ben coperti. I loro amplessi, poi, sul più bello s’interrompono perché l’uomo ha da ottemperare a questa o a quell’altra incombenza ufficiale.

 

Il massimo della disinibizione la realizza Enzo Salvi, nei panni del “coatto romano” volgarissimo, ignorante, viriloide ma, anche, padre affezionato. Forse il film vuole contemperare troppe esigenze: la trasgressione e il perbenismo, la disinvoltura e l’impaccio. Del resto questi nostri prodotti nostrani natalizi (cinematografici e televisivi a un tempo) sono dosati col bilancino: tanto di Nord, tanto di Sud, un pizzico di divismo americano, una bella spruzzata di comicità e di dialetti (compresa la comparsata di una volgarotta che si definisce “di Monopoli”).Il tutto condito con una “salsa” musicale di motivi recenti di successo come “Me voy” di Julieta Venegas e “La camisa negra” di Juanes: ma non può mancare “Torero” di Renato Carosone visto l’argomento spagnolesco.

 

Un’altra componente inedita rispetto a quelli che vengono, con un neologismo, definiti “cinepanettoni”è, in questo film, l’onirismo: nella sua frustrata affettività Archimede Formigoni (Boldi) si abbandona a sogni e a incubi. “Olé” si apre con il matematico che sogna di trovarsi in un’arena dove finisce per essere incornato da un toro proprio in quella zona dove, a causa della sua allergia all’aglio, gli verranno fatte delle iniezioni. La parte più persuasiva (alla Avati), ma forse la più ostica al pubblico facile che affolla le sale in questo periodo, è quella del privato dell’insegnante di matematica e delle due sorelle (Gina Una e Gina Due) con cui trascorre vacanze e vita di ogni giorno. Fino a quel fatidico momento della chiamata improvvisa del preside che ha bisogno di lui per sostituire una collega infortunata all’inizio del viaggio nella penisola iberica. Qui scatta il meccanismo dell’identificazione: il colpo di fortuna (il sognato viaggio in Spagna che culminerà nell’innamoramento e nel matrimonio). Il resto funge da diversivo e ostacolo a questo finale: soprattutto, il rivale in amore del protagonista, un estroverso Vincenzo Salemme che si rivelerà un millantatore (si vanta di conquiste mai realizzate). Anche se la scena dell’ingestione involontaria di Viagra con il membro che funge da attaccapanni per il cappello che deve nascondere l’erezione, nel suo carattere grottesco, indica una direzione che, a causa del perbenismo e dell’esigenza di una maggiore “pulizia”, il film non ha voluto prendere.

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