Mio fratello è figlio unico

L'incomunicabilità tra due fratelli, le loro differenti scelte politiche...tra gli anni '60 e '70

 

palco05

"Mio fratello è figlio unico", al Seven, di Daniele Luchetti prende il titolo da una canzone di Rino Gaetano, a sottolineare l'incomunicabilità tra due fratelli e, di conseguenza, la tempestosità del loro rapporto. Tale difficoltà relazionale si manifesta nelle scelte politiche: il più giovane (Elio Germano) prima vuol farsi prete, poi si iscrive al MSI, successivamente a un gruppo della sinistra extraparlamentare (riunendosi al fratello) e infine promuove l'occupazione di case popolari. Nel frattempo il congiunto (Riccardo Scamarcio) è morto in un conflitto a fuoco con la polizia: la sua militanza era tralignata nel terrorismo; il film inizia negli anni Sessanta, sfiorando il Sessantotto (solo mostrato in televisione) e arriva ai Settanta con gli Anni di piombo (a Torino). La famiglia è di Latina e questo offre il destro al regista di parlare del risorgente fascismo in una zona d'Italia imbevuta di ricordi e nostalgie (la Mussolini concorre alla carica di sindaco proprio nel centro laziale).

La parte più debole del film
è il tentativo di disegnare, anche se attraverso le vicende dei due fratelli, il passaggio dagli anni Sessanta ai Settanta, cioè la trasformazione del ribellismo in lotta armata. La parte più interessante è quella della dialettica familiare: i genitori cattolici, la figlia musicista e di sinistra, i fratelli. Efficace è l'intreccio tra dinamiche familiari e dinamiche politiche: queste ultime si esprimono attraverso le prime.

Ha detto Luchetti di aver pensato a "un cinema documentaristico e immediato, che sta dietro ai personaggi e cerca le emozioni". E i vari personaggi sono disegnati in modo eccellente: si pensi, tra tutti, al piazzista ambulante Luca Zingaretti, un massiccio fascista malato di cuore con le sue teorie e i suoi teoremi rozzamente ideologici che, in un primo momento, esercitano il loro fascino sul giovane Accio (un immediato e ribollente Germano). In sostanza il film non è una ricostruzione della politica del periodo preso in esame ma la delineazione di un nucleo familiare visto nel suo contesto sociale e politico (la militanza, la fede, le idee politiche differenti, la fabbrica, l'assegnazione delle case popolari, il conflitto generazionale).

Luchetti si rifà a Cechov
quando scrisse, ricorda il regista, che "non dobbiamo fare romanzi politici, ma romanzi in cui si parla di esseri umani che parlano di politica". Il film, molto liberamente, è tratto dal romanzo di Antonio Pennacchi "Il fasciocomunista": la sceneggiatura, ottima, è di Luchetti, Sandro Petraglia e Stefano Rulli (gli stessi, gli ultimi due, di "Romanzo criminale" e si nota nella sagace orchestrazione dei vari personaggi). Questi dovrebbero essere citati tutti incominciando da Vittorio Emanuele Propizio (Accio tredicenne), Anna Bonaiuto (che inizia Accio al sesso), Massimo Popolizio e Angela Finocchiaro (i genitori), Ninni Bruschetta (il segretario della sezione), Claudio Botosso (l'insegnante sinistrorso).
La colonna sonora s'affida a Nada ("Amore disperato"), Betty Curtis ("Chariot") e Little Tony ("Riderà").
Cinema

© RIPRODUZIONE RISERVATA