Il papà di Giovanna. Tragedie italiane.

Avati propone uno stile avvolgente romanticamente vagheggiato in chiave autobiografica

 

"Il papà di Giovanna", ideato, scritto e diretto da Pupi Avati, è un film che si muove su due binari che nella prima parte pare che non debbano incontrarsi mai. Il regista-scrittore narra di una patologia familiare che sfocia in un delitto (la figlia unica, per gelosia sessuale, uccide la compagna di banco); tale vicenda (ispirata a fatti di cronaca come quello di Novi Ligure) s'innesta con la fase terminale del Ventennio fascista a detta di alcuni ritratto in modo benevolo e affrettato (si è parlato di Bignami di quel periodo storico). Tale impressione deriva dallo stile di Avati che questa volta si cimenta con successo nel genere tragico ma che non abbandona quella sua vena lirica e partecipe (si pensi ai film scolastici suoi e questo è anche un film scolastico): stile avvolgente romanticamente vagheggiato in chiave autobiografica.

 

Tale "partecipazione", però, non vuol dire complicità. La scelta effettuata da Avati è complessa ma tale "complessità", dice il regista, gli è stata "facilitata dall'idea di contestualizzare il tutto non solo in un'epoca storica che ho vissuto, ma anche in un ambiente da me conosciuto. La casa che si vede nel film è quella della mia infanzia a Bologna, in via San Vitale 51, dove sono cresciuto con mio fratello. Gli scenografi hanno ricreato con una puntigliosità forse non del tutto indispensabile gli ambienti dei primi anni della mia vita. Questa storia non ha nulla di autobiografico, però la sua ambientazione fisica sì". Si spiega in questo clima da "amarcord" la presunta complice bontà di Avati col fascismo e con il revisionismo interpretativo (si pensi alla sequenza dei processi e delle esecuzioni sommarie dei fascisti a opera dei partigiani). Si pensi al personaggio del dirimpettaio dei protagonisti, il poliziotto fascista Ezio Greggio, visto nella sua veste di vicino di casa e di uomo innamorato della bella condomina. Chiarito questo punto importante del film (la cosiddetta visione ideologica) veniamo alla sostanza che concerne le grandi capacità inventive e narrative di Avati. Come narrazione il film cattura e affascina. Appassionano le vicende della famiglia Casali, il matrimonio mal riuscito dello sgraziato professore di storia dell'arte con la bella Delia sposatasi per procurarsi un alloggio e un tozzo di pane, ma mai innamoratasi del marito. Appassiona la vicenda umana e psicologica della figlia unica, bruttina e complessata ma capace di forti sentimenti che sfoceranno nell'omicidio. Sconvolge la trovata del padre di promettere la promozione immeritata a un suo allievo a patto che questi corteggi sua figlia (e sarà questo corteggiamento a scatenare l'omicidio quando la ragazza scoprirà gli incontri sessuali dell'uomo amato con l'amica del cuore nella palestra della scuola). Persuade il rovello umano della madre (una sofferta ma ancora bella Francesca Neri) e il suo amore segreto, corrisposto, per l'aitante fascista con la moglie sulla sedia a rotelle per la flebite (Serena Grandi in una incisiva caratterizzazione). Nella sua pungente e aspra bonomia Avati fa pensare a Eduardo e le dinamiche che si creano tra i personaggi della storia ricordano alla lontana le situazioni centrali di
"Sabato, domenica e lunedì" e soprattutto di "Questi fantasmi". Si ricordi che Silvio Orlando, insignito della Coppa Volpi a Venezia come miglior attore, ha impersonato a teatro il protagonista di Questi fantasmi", il marito tradito e consenziente. Ma è tutto il personaggio, nelle sue varie sfaccettature, che offre a Orlando il destro a un'interpretazione articolata. Riusciamo a seguire bene e a comprendere le motivazioni psicologiche dell'uomo nei suoi rapporti con la figlia (sono entrambi bruttini e dal loro rapporto la rispettiva moglie e madre è esclusa), con i colleghi, con i vicini, con i negozianti, con la consorte, con le autorità, con la gente altolocata. E' la storia di un uomo "umile" (nel senso alto del termine), come è stato detto, di un "vinto", di un perdente dotato però di una costanza e pervicacia affettiva che genera disastri ma che è il suo punto di forza. Indimenticabile la parte del film ambientata a Reggio Emilia nel cui manicomio giudiziario è stata trasferita la figlia. Il padre si trova un modesto alloggio a Reggio mantenendosi con delle lezioni private per i figli dei contadini della zona. Bravo è Avati nella scelta degli attori. Già si era distinto, in una precedente occasione, facendo recitare la Ricciarelli. Questa volta offre un ruolo drammatico all'attore comico Ezio Greggio, raggiungendo risultasti ragguardevoli. Azzeccata anche la scelta di Alba Rohrwacher nei panni della risentita e testarda figlia, anch'essa non meno pervicace del padre nel perseguire i suoi obiettivi. E' ammirevole l'attrice nel suo misto di passione e cinismo, di fragilità e crudeltà. Nella breve parte di un potente gerarca (zio dell'uccisa) si segnala anche l'interpretazione di Paolo Graziosi. In definitiva, si può affermare che "Il papà di Giovanna" presenta due anomalie (due patologie): quella privata di una famiglia e quella pubblica del fascismo (ma si ricordi che il film, nel dipanare la vicenda fino all'ultimo, arriva ad abbracciare anche la prima metà degli anni Cinquanta).
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