“IL DIVO”

"Andreotti è la massima incarnazione del potere a livello mediocre. Perciò ha avuto grande successo tra gli italiani."

 

il_divoPaolo Sorrentino cita come suoi mentori Elio Petri e Oliver Stone, ma più vicino a noi e a lui è il regista di "The Queen" che ritrasse in modo profondo e divertente Blair, la regina d'Inghilterra e le rispettive famiglie. Quell'aggancio di perspicacia e attualità politica e psicologica si ritrovano ne "Il divo". Il film del regista napoletano è stato catalogato nel genere "grottesco", categoria pericolosa perché spesso scade nel caricaturale ("il manifesto" titola, infatti, "Belzebù? Un divo troppo farsesco"). Non bisogna lasciarsi ingannare dalla bravura del truccatore e da quella di Toni Servillo che sa ridurre la propria statura consegnandoci con la gobba e le orecchie a rovescio una incarnazione moderna di Nosferatu. Un giudizio di Sorrentino su Andreotti chiarisce il principio ispiratore del film: "Andreotti è la massima incarnazione del potere a livello mediocre. Perciò ha avuto grande successo tra gli italiani. Non è come Moro, che spaventava perché teorizzava grandi strategie". La mediocrità evita, stilisticamente, le ali estreme: la tragedia e la caricatura. Inoltre il "Divo" è ormai un ex divo perché il politico viene mostrato dal momento in cui inizia il declino: dal 1991 (suo ultimo governo) all'inizio del processo palermitano dove è imputato per associazione mafiosa (1996). Ciò contribuisce a creare la distanza necessaria per un giudizio equanime e complessivo, prima di tutto psicologico.

Andreotti sembra che voglia vivere, principalmente: frequenti sono i suoi riferimenti alla morte degli altri (a prescindere se si tratta di assassinio, come Salvo Lima, o malattia, come Franco Evangelisti); al medico che gli dice di fare sport risponde che tutti i suoi amici che lo praticavano sono morti. La seconda caratteristica sono le "boutades": è un "battutista" (come dice la Detassis) cinico e impassibile, ma non una grande intelligenza. Certo l'arguzia è un mezzo per svicolare e difendersi in una emergenza un po' come lo "spray" adoperato dalle donne sole se aggredite la sera. Ma Sorrentino non si lascia incantare costruendo il ritratto di un uomo che aborre la verità (una "catastrofe"), che fa il male, in nome di Dio, per arrivare al bene e che definisce la "strategia della tensione" strategia della sopravvivenza ricorrendo pure al "delitto sociale" per salvare l'Italia dal pericolo comunista. Costruita questa architettura generale (politico-psicologica) il regista enumera i diversi fatti concreti: omicidi politici, mafia, Democrazia Cristiana, caso Moro, magistratura, stampa (Caselli e Scalfari). Ogni tassello è studiato in profondità: il riassunto che, per esempio, Eugenio Scalfari fa di tutte le "malefatte" attribuite ad Andreotti condensa fatti che già ci erano stati presentati e di cui spesso avevamo perso il bandolo. Il film si aiuta con didascalie (oltre alle informazioni finali sugli esiti dei due processi che videro l'assoluzione dell'imputato Andreotti) per mettere in grado lo spettatore di seguire meglio perché la scena è sempre affollata di figure e figurette del periodo a partire dagli andreottiani fino alla segretaria (la paziente Piera Degli Esposti) e alla moglie (la tenera e inflessibile Anna Bonaiuto).

Il film è costruito come un mosaico che gradatamente (da Giulio Bosetti-Scalfari in poi) si chiarisce. Per tutto il primo tempo si ha la sensazione che la pellicola possa essere solo adatta a cinquantenni di buona memoria e di ottime e approfondite letture di storia patria recente. Tale impressione si disperde man mano che si procede e saranno, poi, i titoli di coda a chiarire l'esistenza di qualche personaggio apparso in modo fugace ma importante per la storia/cronaca degli anni Novanta. Si pensi alla musica adoperata nel film: rock e classica, Renato Zero e Sibelius, per esempio, e si capirà il ritmo particolare che Sorrentino ha impresso alla sua opera. Questa si presenta come una cavalcata ("Una lunga vita trascorsa insieme") di persone e avvenimenti che si dispongono e ricompongono, classicamente, in un giudizio e in una ricostruzione al punto da aver fatto dire alla critica (Guzzano per tutti) che ci troviamo di fronte a una "biografia documentata o possibile", e tale possibilità deriva dalle ipotesi formulate che non sono cervellotiche perché sorrette da citazioni, verbali o visive. Consideriamo, in quest'ultimo ambito, la spregiudicatezza con cui Carlo Buccirosso (attore della scuderia di Salemme) tratteggia l'andreottiano napoletano Cirino Pomicino come un farfallone gaudente che sembra l'antitesi del suo "leader", curiale e immarcescibile. Ma la trasgressività di Buccirosso-Pomicino serve anche a illuminare l'Andreotti di Servillo, visto come uomo carnale per i riferimenti precisi alla donna e alle sue attrattive (a Cossiga, si narra nel film, il Divo confessò di essersi innamorato a scuola della sorella di Gassman, Mary, che poi dimenticò, una volta sposatosi).

Come si vede l'intenzione di Sorrentino è antropologico-politica e la cosa che più lo disgusta sono i gli stereotipi e i giudizi approssimativi. Gli interessa la sarabanda e il mosaico con una sequela di frammenti che si ricompongono. "Magna pars" in tale impresa titanica (meravigliosamente riuscita) sono gli attori. Oltre a quelli citati ricordiamo il sofferto Flavio Bucci che interpreta Franco Evangelisti, devoto e ammirato; Aldo Ralli è il redivivo Giuseppe Ciarrapico; Massimo Popolizio è il luogotenente a Roma di Andreotti, Vittorio Sbardella; Giorgio Colangeli è lo sfortunato Salvo Lima; Paolo Graziosi è l'inascoltato Aldo Moro; Fanny Ardant è la moglie dell'ambasciatore, tutta compresa nel ruolo dell'enigmatica intervistatrice. Berlusconi è nominato due volte: quando Andreotti afferma di aver sventato l'acquisizione del quotidiano "la Repubblica" da parte dell'attuale "premier" che viene anche ricordato come affiliato alla P2 di Licio Gelli. "Il divo", girato a Roma, Torino, Napoli e Palermo, è un film "napoletano" per una certa sua aria gaglioffa ed esuberante (l'organizzatrice generale è la napoletana Viola Prestieri, figlia di Franz e dell'attrice Lucia Ragni).

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