C'era una donna nel lager: storie di donne che squarciarono il buio di Aushwitz armate di musica

03 10 Donnanellager 2NOCI (Bari) - Venerdì 8 marzo, a partire dalle 19:00, presso il Chiostro di San Domenico, le ragazze  dell’Istituto "Da Vinci - Agherbino" hanno presentato “C’era una donna nel lager”. Lo spettacolo, a cura del prof. Raffaele Pellegrino, ha prospettato una visione inedita del campo di concentramento di Aushwitz, luogo di terrore e morte per antonomasia. Il punto di vista è stato quello delle musiciste facenti parte dell’unica orchestra femminile esistente nel panorama dei lager nazisti. Un’orchestra diretta dalla kapò Alma Rosè, nipote del celebre compositore Gustav Mahler.
La peculiare condizione di prigionia vissuta da queste donne è stata spunto di importanti riflessioni ontologiche e filosofiche. Oltre alla Dirigente scolastica Rosa Roberto, sono intervenuti i docenti di Storia e Filosofia prof. Beppe Novembre e prof. Raffele Pellegrino, che ha guidato le sue alunne nella realizzazione dello spettacolo. Le ragazze si sono magistralmente calate nei panni di Alma Rosè e delle sue musiciste. Contestualmente, una delle studentesse che hanno partecipato alla 15^ edizione del Treno della Memoria, ha testimoniato quanto visto e vissuto, dal punto di vista emotivo, durante la sua visita ai luoghi dell’Olocausto.

Sintetico ma diretto ed inequivocabile l’intervento del sindaco Domenico Nisi in apertura di serata: “Siate protagonisti attivi della vostra epoca e della vostra storia, e non perdete occasione per far sentire la vostra voce di fronte ad ogni ingiustizia, a tutto ciò che non vi sta bene ed avvertite come dannoso e deleterio”.

L’assessore alle politiche sociali Marta Jerovante, ha ricordato che nello stabilire una diversa data per l’evento previsto il 23 febbraio scorso (rimandato poi a causa delle proibitive condizioni meteorologiche) la scelta dell’8 marzo non è stata del tutto casuale.  “Si parlerà di donne annientate e svuotate di ogni dignità, ma anche di donne coraggiose che hanno messo in campo tutte le loro energie per resistere! Appare quasi impossibile guardare al passato, quando tutti i diritti di cui godiamo oggi erano ben lontani anche solo dall’essere contemplati. Si tratta però di uno sguardo necessario per aiutarci a comprendere che tali diritti non sono affatto scontati. Li abbiamo acquisiti a prezzo di grandi sacrifici (non nostri, ma altrui) e ci culliamo nella piacevole convinzione che saranno nostri per sempre. Grosso errore: i diritti, così come vengono acquisiti, possono scivolarci tra le mani ed andar persi se non vengono difesi, coltivati e divulgati".

La Dirigente scolastica Rosa Roberto, si è soffermata sull’importanza di una strettissima collaborazione tra scuola e comunità: “Credo che l’intera comunità debba sentirsi responsabile della scuola che viene istituita al suo interno. La scuola forma infatti i cittadini del domani: è lì che i ragazzi maturano la propria identità etica e valoriale. E deve essere costruita su solide basi! Tra 10 o 20 anni, gli studenti di oggi diventeranno lavoratori instancabili e magari anche uomini politici, membri delle istituzioni con in mano un grande potere decisionale, da utilizzare per migliorare il futuro della comunità e non solo".

03 10 Donnanellager 3Leggendo parte di un toccante e risoluto discorso di Antonio Gramsci, il prof Beppe Novembre ha ulteriormente ribadito quanto sia deleteria l’indifferenza. Ci siamo mai chiesti cosa significhi etimologicamente la parola “Partigiano”? Significa prender parte: schierarsi senza alcuna paura! Significa farsi valere abolendo la cantilena trita e ritrita del “è successo o sta succedendo agli altri, quindi io non vedo, non sento e non parlo!”. E’ facile sentirsi sempre e solo vittime in diritto di criticare cosa gli altri abbiano o non abbiamo fatto, senza però muovere personalmente un dito, eccezion fatta che per puntarlo contro gli altri. Questo il senso (ancora attualissimo) delle parole di Gramsci.
“La scuola c’è!” - ha energicamente affermato il prof. Raffaele Pellegrino - “I testimoni oculari della Shoah sono quasi tutti scomparsi e il dovere della memoria tocca a noi”. Una memoria che ovviamente non dev’essere passiva, doverosa solo ai fini dello studio. Conoscere è necessario non tanto per acculturarsi, quanto per intraprendere un percorso di risalita dal punto di vista etico e morale. La verità sulle condizioni delle donne nei lager è stata a lungo taciuta per vergogna: non quella delle poche testimoni oculari superstiti, che l’hanno vissuta sulla loro pelle, ma quella di chi ha cagionato tutto questo. Guardando indietro, lo scaturire di un sentimento di vergogna era il minimo, per il livello a cui ci si era abbassati".
La declamazione  dell’emblematica “Se questo è un uomo” di Primo Levi, da parte della professoressa Fenisia Gramolini, ha preceduto gli interventi delle giovani alunne dell’Istituto “Da Vinci-Agherbino”.
La lettura delle testimonianze è stata profondamente sentita, e lo si evinceva dalla voce delle ragazze. Il “freddo grembo” a cui allude Primo Levi, simboleggia una totale sterilità, fisica e morale, a cui le donne erano costrette in quei luoghi infernali. La sterilizzazione fisica era d’obbligo appena si entrava nei lager e avveniva nei modi più brutali e in totale assenza di igiene.

Le donne che arrivano già con bimbi molto piccoli a seguito, venivano mandate direttamente a morire assieme a loro. Spesso, per puro diletto dei nazisti, le madri erano costrette a veder morire i figli: sbranati da cani aizzati contro di loro, oppure rinchiusi in dei sacchi che venivano lanciati in aria e crivellati di colpi come se si stesse giocando al tiro al piattello.
03 10 Donnanellager 5Molte di queste madri straziate diventarono poetesse: scrissero dolcissime e struggenti ninne nanne: non per far addormentare i loro piccoli, al fine di preservarli (almeno temporaneamente) da quell’orrore…ma per accompagnare il loro sonno eterno. La fame e la sete erano i nemici più mordaci: il cibo era poco e spesso avariato. Ma l’attaccamento alla vita induceva a tapparsi il naso e a mandar giù quelle brodaglie disgustose anche usando come unici recipienti le mani. Gran parte del contenuto scivolava tra le dita proprio come faceva a poco a poco la vita. Per non lasciarsi andare del tutto, molte donne hanno scritto su pezzi di carta di fortuna dei veri e propri ricettari, in cui era dettagliatamente descritta la preparazione dei cibi che ormai erano rassegnate a non poter più mangiare. “Del fatto che l’acqua non fosse potabile ce ne infischiavamo: era meglio morire di colera che di sete”- si evince da una delle testimonianze lette.
Ulteriore umiliazione era la nudità, che le donne vivevano in maniera molto diversa rispetto agli uomini, abituati alle visite militari. E quando si parla di doccia? A noi viene in mente la cosa più piacevole del mondo. Ma immaginate che vi sia lanciato addosso un potentissimo getto d’acqua gelata in pieno inverno, che faccia sbalzare di diversi metri il vostro corpo. Come se non bastasse, immaginatevi nudi, al gelo e sottoposti agli sguardi e agli scherni delle SS.
Altro tema delicatissimo era quello dell’aborto, che oggi molti considerano (anche giustamente) un reato. Dobbiamo però pensare che in quei luoghi non c’era scelta: se una delle Kapò o delle prigioniere di cui non di rado i superiori abusavano restava incinta, ciò significava morte certa per lei e per il bambino. L’aborto avrebbe comportato almeno la salvezza di una delle due vite.
La cosa più difficile da immaginare all’interno dei lager è la musica. Eppure c’era! Sono stati rinvenuti infatti circa 6000 spartiti di opere musicali. Una musica voluta dai nazisti per propinare l’idea che in quei luoghi si vivesse magnificamente. Una musica che spesso poteva risultare paradossale e ironica nello scandire ritmi di morte, nel non fermarsi neanche davanti a chi veniva torturato ed esalava i suoi ultimi respiri. Eppure, la musica, con il suo carico di emozioni, manteneva vivi. Rappresentava un potente antidoto contro la massiccia opera di spersonalizzazione, di riduzione delle persone ad oggetti perseguita dai tedeschi. Per accostarci alla figura di Alma Rosè, direttrice dell’unica orchestra femminile mai esistita nei lager, dobbiamo prima di tutto precisare chi era un kapò. Si trattava di un prigioniero che veniva insignito dalle autorità dei campi di concentramento di funzioni di responsabilità nei confronti degli altri detenuti. Supervisionavamo scrupolosamente il blocco a loro assegnato. Ecco che qui si assottiglia però la linea di confine tra l’essere vittima e l’essere carnefice. E’ vero, il kapò diventava tale per sua scelta, ma era veramente consapevole di cosa gli sarebbe spettato? Magari si prefiggeva di aiutare a suo modo più detenuti possibili, ma era costretto a diventare carnefice e contemporaneamente vittima di altri carnefici più “in alto” di lui. Fu probabilmente ciò che accadde ad Alma Rosè, nipote del compositore Gustav Mahler, che la musica doveva averla evidentemente nel sangue, e la usò come ancora e come arma di difesa.
03 10 Donnanellager 1Le giovani studentesse del Liceo delle Scienze Umane, si sono appassionatamente calate nei panni di Alma e delle musiciste da lei dirette, coinvolgendo la platea in un “viaggio nel tempo”.
“Ma che cosa diamine serve la musica qui dentro? Per chi accidenti suoniamo? Per dei quasi cadaveri o per membri delle SS ubriachi ed esaltati? Di fronte a noi ogni giorno si propaga l’orrore più vivo e noi? Noi suoniamo? Accompagniamo a tempo di musica lo scorrere del sangue?”- Così si rivolgono ad Alma le altre componenti dell’orchestra. Stanche ed esasperate, senza più energie fisiche e soprattutto psicologiche, vogliono mandare a monte tutto. Alma però è risoluta: è una musicista e la musica per lei rappresenta la vita ed è anche la sola arma che possegga in queste tragiche circostanze.

03 10 DonnanellagerAlmaRosè“Anch’io vedo il modo in cui la gente muore ogni giorno: anch’io contemplo quei corpi costituiti da ossa coperte da pochissima pelle, privati dell’anima anche se camminano ancora. Sono consapevole quanto voi di ciò che sta avvenendo e mi mortifica. Ma se mi mettessi a pensare a quanti cadaveri vengono ammassati nell’arco di un giorno, piomberei nella depressione più nera e me ne starei su quella sedia con la testa tra le mani senza reagire. Io devo, noi dobbiamo reagire!” – afferma convinta la direttrice d'orechestra.
Alma muore improvvisamente, in circostanze per nulla chiare. Si suppone che, essendo diventata un personaggio alquanto scomodo, sia stata avvelenata. Stessa sorte sta per toccare alle sue musiciste. La Germania sta perdendo la guerra e lo sa bene: non si può più fare musica. Vengono anche fissati il giorno e l’ora ma a poche ore dall’esecuzione delle ragazze, giungono gli inglesi a liberare il campo. Sono salve: sentono la vita esplodere dentro di loro. A concludere la serata, è stata la testimonianza diretta della giovane Luisa, una dei due studenti che hanno preso parte alla 15^ edizione del “Treno della memoria”. E’ stato proiettato un video (realizzato dalla stessa Luisa) che attraverso un efficace montaggio di immagini ha raccontato l’esperienza vissuta nei luoghi dell’Olocausto dal punto di vista visivo ed anche emozionale. Insieme alle immagini, scorrevano i versi di una poesia che Luisa scrisse quando aveva soli 12 anni, ma che si è intersecata alla perfezione con quell’esperienza che aveva in un certo senso precorso.

03 10 DonnanellagerLuisa“Ciò che mi ha colpita è stato per prima cosa il freddo. I campi di concentramento sono all’aperto, è vero, ma appena si varca il loro confine il freddo si intensifica, lo senti anche nell’anima! E’ davvero come se quei luoghi avessero assorbito in maniera indelebile il male di cui sono stati teatro”- ha dichiarato emozionata Luisa. “Ci hanno fatto guardare le foto di alcune delle persone che furono detenute in quegli orrendi luoghi: c’era un ragazzo che assomigliava incredibilmente a mio fratello, ma non è stata l’unica somiglianza che ho riscontrato. Tanti di quei volti, avevano tratti somatici simili a quelli di persone che conosco e che mi sono care. Mi sono chiesta: e se fossi stata anch’io figlia di quel tempo? Se mi fosse toccato vivere una simile barbarie? Fa troppo male anche solo pensarci.
Voglio lasciarvi con una semplice esortazione: nessuno di noi si senta in dovere di puntare il dito contro l’altro, di affermare che lui è superiore. Nessuno perda occasione per praticare il bene, per aiutare e sostenere chi ne ha bisogno”. Ci sentiamo di aggiungere solo una cosa: comprendere il motivo di tanta crudeltà non sarà mai possibile. L’unica cosa che dovrebbe risultare ovvia è che non deve succedere “Mai più!”

 

 

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