Liturgie del popolo: alla scoperta dei riti della Settimana Santa tra letture, canti e racconti

04 15 LeNostreTradizioniPasqualiNOCI – Un viaggio intenso e suggestivo quello proposto lo scorso 14 aprile, nella giornata del Giovedì Santo, dall’Associazione RiGenera.
Il percorso, iniziato dal Calvario alle ore 19:30, ha portato i partecipanti lungo le strade del nostro Centro Storico alla scoperta dei riti e delle liturgie popolari che caratterizzavano un tempo la Settimana Santa. Preziosa è stata la collaborazione sia di Antonio Natile, profondo conoscitore del territorio e del grande patrimonio culturale che lo riguarda, sia di Felice Gioia, che per la prima volta ha riproposto alcuni antichi canti databili all’incirca al 1700.

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04 15 AllascopertadiRitieTradizioniPasqualiIl percorso, naturalmente, non poteva non toccare le Chiese del Carmine e quella dedicata a Sant’Agostino e San Giuseppe, risalente al 1659 e importante perché vi sono custodite le effigi della Desolata e della Pietà, protagoniste della Processione dei Misteri, tanto amata dai nocesi.
Come ha ricordato Antonio Natile, la prima documentazione che la riguardi risale al 1635, ma certamente non dobbiamo immaginare la Processione dei Misteri dell’epoca così come la conosciamo oggi.
All’epoca, la partenza avveniva dalla Chiesa di San Pietro ed era gestita dalla Confraternita del Sacramento. Non va infatti dimenticato il ruolo importantissimo giocato all’epoca dalle molteplici confraternite esistenti sul territorio, che spesso entravano anche in confitto tra di loro per la gestione di eventi e liturgie religiose.

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Sul finire degli anni ’60, la Processione dei Misteri venne sospesa per diversi decenni. Riprenderà infatti solo nel 1996, ampliata con le processioni del venerdì mattina.
Merita un’attenzione particolare anche la Processione di Cristo Casaboli, che deve il suo nome a un falso storico, una “fake news” ante litteram.
Per lungo tempo si è infatti ritenuto che il Crocifisso portato in processione proprio durante il Venerdì Santo, fosse quello “miracolosamente” salvatosi da un incendio che nel 1400 avrebbe distrutto i casali di Barsento e, appunto, quello di Casaboli. La “leggenda” avrebbe però in questo caso contribuito a mantenere viva la tradizione.
Riguardo alle statue portate in processione, esse dovevano essere necessariamente dotate di grande espressività, dalla quale doveva poi derivare tutto il loro potere comunicativo, rivolto a un popolo per la maggior parte non certo acculturato, che necessitava di “vedere” per meglio intendere. Proprio a questo proposito, una delle maggiori “pecche” della Chiesa dell’epoca era l’esprimersi in latino, una lingua che certamente non era quella in cui potesse identificarsi la gente semplice.
Il popolo, così, quasi per ripicca, iniziò a trasporre in dialetto moltissime preghiere, alcune delle quali poi musicate sulla base dei “canti ufficiali”.
Se vogliamo, queste rielaborazioni in dialetto, la “lingua del cuore”, risultano ancora più toccanti. Non a caso, tra i momenti clou della serata c’è stata proprio l’esibizione del nostro ormai iconico Felice Gioia in due antichi canti popolari databili all’incirca al 1700 e riproposti per la prima volta in assoluto. Al termine delle due intense esibizioni, sia Gioia che Natile hanno evidenziato come non si trattasse di un semplice e “laconico” cantare le lodi, ma quasi di una partecipatissima rappresentazione teatrale, che vedeva le donne calarsi realmente nei panni dell’Addolorata e delle sue consolatrici, che la confortavano ricordandole che solo 3 giorni sarebbero dovuti trascorrere prima che vedesse suo Figlio risorgere. Va sottolineato come, al tempo, l’accento venisse posto prevalentemente sulla Via Crucis, quindi sulla passione e sui dolori sofferti da Cristo, piuttosto che sulla resurrezione, quindi sull’epilogo glorioso del calvario.

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Il percorso è terminato presso la “gnostra d’ capegnure”, dove oltre a scambiarsi gli auguri in vista della Pasqua, i presenti hanno potuto degustare i dolci tipici della tradizione del periodo. Protagonisti i classici taralloni ricoperti di glassa di zucchero e i mitici “sòrge mbise”.
Merita una riflessione il nome dialettalmente imposto a quelle che nel resto della Puglia sono meglio conosciute come “scarcelle”.
Se erroneamente molti erano convinti che “sorge mbise” fosse riferibile al fatto che questo dolce tradizionale avesse l’uovo (simbolo della vita) “incastonato” nell’impasto, Antonio Natile ne ha ricordato la definizione letterale che sarebbe appunto “colui che si è alzato in piedi” (quindi che è risorto). E i nostri nonni o genitori, ricorderanno bene come fosse severamente vietato addentare questa prelibatezza prima che suonassero a festa le campane nella domenica di Pasqua.
Ci piace concludere proponendovi qui di seguito il video dell’esibizione di Felice Gioia, in modo che anche i lettori impossibilitati a partecipare all’evento possano ascoltare per la prima volta questo commovente canto popolare che nessuno cantava più da moltissimi anni.

 

 

 

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