"A Frasche e u Mire", il vino nella lezione di dialettologia

11 04 dialettologia2NOCI (Bari) - Il 4 novembre, presso l’aula magna dell’istituto “A. Agherbino”, si è tenuto il terzo incontro di “Lezioni di dialettologia”, iniziativa organizzata dall’Università della terza età di Noci e dal Centro studi sui Dialetti Apulo-Baresi. La conferenza “A Frasche e u mire”, verteva sul vino, sulla sua storia e sulla sua mitologia. Non sono mancati riferimenti a modi di dire e proverbi dialettali e, soprattutto, non è mancata la ricerca etimologica sulle parole del nostro dialetto, che ha segnato il collegamento tra le nostre tradizioni e la cultura classica da cui proveniamo. A relazionare sul tema, il linguista Giovanni Laera e la prossima laureata in lettere Chiara Fasano.

Ha aperto l’incontro Giovanni Laera, che ha parlato, servendosi di alcune slides e di alcuni grafici, del vino nell’onomastica e nei proverbi nocesi. E’ partito dal cognome Tinelli che, diffuso solamente in Puglia e nel nord-ovest della penisola, è uno dei più noti cognomi nocesi. Questo, infatti, deriverebbe da un diminutivo di “Tino”, derivato a sua volta dal latino tardo “Tinum”. E’, quindi, immediato il collegamento con il vino, presente anche nel cognome “PIangivino” oppure nel putignanese “Vinella”. In seguito, è passato all’analisi di alcuni dei più famosi detti nocesi, che hanno fatto trasparire diversi valori che gli antichi usavano affidare al vino: “Puen, cepodde e mire, a tavele d’u cavalìre” (bastava il vino a nobilitare una “povera mensa”), “Catarre? Mire accarre!” (nel caso di un mal di gola, il vino era un ottimo rimedio) e “ ‘Na tavele senza mire iè accomme ‘na giurnète de Dicembre senza sole”. Su quest’ultimo detto, infine, si è soffermato maggiormente, sottolineando il valore che si soleva dare al vino e soprattutto a Dicembre, mese di rinascita del Sole che, dopo aver raggiunto il punto più basso con il solstizio d’inverno, tende poi a rialzarsi nel cielo.

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E’ stata, dopo, la volta di Chiara Fasano, che ha analizzato le origini del vino: fonti non certe attestano la sua scoperta agli inizi del neolitico, ma la bevanda inizia ad essere consumata con certezza dagli antichi Egizi. Esemplare è, però, il valore che i Greci davano al vino, consumato annacquato, al contrario di quello che i Romani, in seguito, chiameranno il “vinum rerum”, ovvero il vino ristretto: “u mire”. Il vino era anche la bevanda degli Dei, cara al Dio Dioniso, la cui pianta sacra era l’edera. Risulta quindi evidente la ragione della classica iconografia della foglia d’edera (“a frasche”) accanto al grappolo d’uva, e dal mito del Dio, chiamato “Bacco” dai Romani, risulta palese il detto nocese citato precedentemente: Bacco, risorto dalla morte, veniva celebrato a Dicembre, il mese della rinascita.

Tutte le nozioni e le conoscenze dei due linguisti, insieme con quelle di Pietro Gigante e di Mario Gabriele, sono inserite nel libro “I Fefe e U Mire”, dal 4 Novembre in edicola. L’appuntamento con l’ultima lezione di dialettologia è all’11 Novembre, che, però, non si terrà come al solito nell’aula Magna dell’IIS “Agherbino”, ma al Chiostro di San Domenico. L’orario rimane invariato alle 17:30.

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