"Voci dalla Grande Guerra": tra di esse emerge quella del Maggiore Pasquale De Cataldo

10 10 VociDallaGrandeGuerraNOCI - La società di Storia Patria per la Puglia ha realizzato un corposo, esaustivo e toccante volume in cui viene raccontata una delle pagine più tragiche della nostra storia, che tuttavia è anche una delle più interessanti. Il libro si intitola “Voci dalla Grande Guerra” e come è facile intuire, si parla del Primo Conflitto Mondiale. Un argomento su cui tanto si è detto e scritto, ma che meriterebbe una rilettura in chiave un po’ diversa, per essere realmente compreso, soprattutto dai più giovani.

Alla realizzazione del volume, diviso in tre parti, hanno collaborato Pasquale Corsi, Giovanni Paparella e Filippo Perna. Il testo merita senza ombra di dubbio una lettura attenta e completa in ogni sua parte, ma quella su cui maggiormente vorremmo soffermarci riguarda il Maggiore Pasquale De Cataldo, che pur essendo putignanese di nascita, era anche figlio adottivo di Noci, avendo sposato la nocese Cosmina Perrini. Il Maggiore, morì eroicamente il 16 giugno del 1918, al comando del II° battaglione del 151° Reggimento di Fanteria della Brigata Sassari. Il nipote Filippo Perna ha rinvenuto nell’archivio di famiglia non solo lettere e cartoline vergate dal nonno, ma anche e soprattutto un manoscritto, una sorta di “diario di guerra” conservato gelosamente dalla zia Noella (figlia primogenita del Maggiore). Di qui la decisione di rendere pubblico il suo contenuto, che  rappresenta una preziosa e importante testimonianza di storia direttamente vissuta.

10 10 MaggioreDeCataldoC’è grande differenza tra il raccontare la storia solo attraverso una fredda sequenza di avvenimenti e date e il farlo attraverso gli occhi, il cuore e le voci dei diretti protagonisti. Se la voce del Maggiore De Cataldo non possiamo più ascoltarla con le orecchie, ci sembrerà sicuramente di sentirla mentre con gli occhi scorreremo le pagine del suo diario, vergato dalle varie zone di guerra in cui fu inviato. Cosa sia stata la guerra, forse tutti possiamo vagamente immaginarlo, ma cosa c’era nel cuore di chi l’ha combattuta in prima linea? Quali paure, quali speranze egli poteva nutrire? Cosa gli infondeva la carica per andare avanti lontano dai propri cari o in particolari situazioni in cui lo sconforto e la delusione prendevano il sopravvento? E quando a casa si scriveva “Io sto bene”, interiormente, era realmente così? Il diario scritto dal De Cataldo, così come le lettere e le cartoline scambiate con i familiari, rispondono a questa serie di domande. Interrogativi che sicuramente si sarà posto chi è solito guardare alla storia non con distaccata freddezza ma con viva sensibilità e soprattutto con senso di appartenenza e continuità. Normalmente, siamo portati a pensare che un pluridecorato Eroe di Guerra sia un uomo che non conosca la paura. Entrando, attraverso la lettura, nella parte più intima dell’animo del Maggiore De Cataldo, scopriremo che non è affatto così. Il vero Eroe, la paura la nutre eccome, ma la differenza tra lui e l’uomo senza ideali e senza valori sta proprio nel non scappare con codardia di fronte ad essa, ma nell’affrontarla a viso aperto. Questo fece Pasquale De Cataldo quel 16 giugno del 1918, a Capo D’Argine (sul Piave). Alla guida di pochi ma valorosi soldati. Pur di fronte al duro attacco nemico, si mostrava saldo e incurante di sé per il bene di quella Patria che amava. Questo esprime sostanzialmente il testo della motivazione della Medaglia D’Argento (che non è tuttavia l’unico riconoscimento a lui conferito) riportato anche sul monumento funebre nel cimitero di Noci, dove le spoglie furono traslate nel 1924.

10 10 MomumentoDeCataldoQuella sul Piave era un’impresa impossibile e De Cataldo lo sapeva benissimo. Provò a farlo notare ai suoi superiori, provò a spiegar loro che avrebbe comportato un sacrifico di vite inutile, ma dal Comando non gli diedero ascolto. Il Maggiore, mostrandosi coerente con i propri ideali, obbedì, benchè conscio di quanto pericolosa e difficile fosse l’impresa.
E anche i comuni di Mestre e San Dona di Piave vollero incidere su quel marmo la loro eterna riconoscenza. Riavvolgiamo però un attimo il nastro, e proviamo a immaginare quest’uomo in divisa mentre a lume di candela, scriveva alla moglie e alle sue due bimbe, Noella e Maria Vittoria (che avevano solo 10 e 3 anni nel momento in cui si ritrovarono orfane di guerra). Immaginiamolo mentre nel suo diario annotava non solo la cronologia degli eventi storici, ma anche stati d’animo e personali riflessioni. Dentro di lui si agitava un forte contrasto: doveva essere più forte l’amore per la propria famiglia o quello per la Patria, che dagli affetti lo portava a star lontano? De Cataldo ne dedusse che le due cose fossero strettamente connesse. L’amore per la Patria doveva considerarsi un genuino atto d’amore anche e soprattutto per la famiglia. Questo tentò di spiegare per iscritto anche alle due bimbe, che avrebbero letto con il senno di poi una volta cresciute, comprendendo le ragioni dell’assenza del padre. Un padre che era al fronte in prima linea perché le amava e voleva lasciar loro in eredità un futuro migliore. La fede in Dio, la Patria e la famiglia furono sempre i suoi valori cardine, oltre all’onestà e al senso di responsabilità. Quando vedeva venir meno in tanti soldati e soprattutto in personalità alte in grado questo senso di responsabilità, De Cataldo ne soffriva terribilmente. Come si poteva pensare a cose frivole e inutili quando c’era una Patria da difendere, per cui lottare? Già gravemente ferito, il Maggiore avrebbe potuto “godersi” oziosamente la convalescenza, approfittando della sua condizione per restare lontano del fronte. Invece, tutto il contrario: lotta caparbiamente per ottenere l’idoneità a continuare le operazioni e tornare in prima linea. All’appello dell’Italia minacciata e ferita bisognava rispondere “Presente”. Una nota particolare e molto toccante: l’incipit del manoscritto è proprio un accorato appello al nemico. De Cataldo raccomanda che una volta morto, le pagine siano consegnate alla famiglia. Il Maggiore di un Reggimento che ripone tanta fiducia nel nemico? Sì, e non deve stupirci, se considerato alla luce del concetto che De Cataldo aveva della guerra.
Un conflitto di ideali e civiltà, di uomini prima che mi macchine spargitrici di morte. Un conflitto che non doveva spersonalizzare o meglio disumanizzare; che non doveva intaccare valori che trascendevano ogni divergenza. Al nemico, che conservava doti come la cavalleria e la cortesia, si poteva benissimo affidare uno scritto tanto importante, con la certezza che venisse recapitato. Un concetto molto diverso da quello che caratterizza i conflitti odierni in diverse parti del mondo.

10 10 DeCataldoQuello che possiamo anticipare al lettore è che davvero farà fatica a leggere alcune pagine mantenendo gli occhi asciutti, soprattutto quando De Cataldo che “Sente l’ala della morte costantemente vicina” redige una sorta di testamento spirituale per i familiari, parlando di lui già al passato, come del marito e del padre che veglierà dall’alto, auspicando che vengano fatti fruttare i valori da lui seminati. Toccanti anche i discorsi commemorativi del Sottotenente medico Francesco De Tommasi, padre del compianto medico nocese Cosimo De Tommasi (ndr) e del Colonnello Michele Gabrielli. Non resta quindi che ascoltare, attraverso la lettura, questa voce proveniente dal nostro passato, che ha ancora tanto da dire nel presente e nel futuro. Un grazie a Pasquale Corsi che ha curato la pubblicazione, Giovanni Paparella e soprattutto il nipote, Filippo Perna, per aver permesso che questa voce arrivasse fino a noi. Condividere uno scritto che non rappresenta solo una testimonianza storica, ma si rivela così intimo e carico affettivamente è un atto importante nei confronti di quella società che anche De Cataldo amò e difese.

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