Antonio Natile, "Fare poesia vuol dire cogliere l'universale nel particolare"

10-16-Locandina-Antonio-NatileNOCI (Bari) - La produzione letteraria nocese si dimostra quest'anno davvero molto prolifica. É un piacere notare come nell'ultimo periodo giovani appassionati di scrittura, a qualsiasi genere si dedichino, riescano a pubblicare libri e ad arricchire dunque il nostro patrimonio culturale. Dopo aver approfondito infatti l'ultimo libro di carattere storico "Noci nel Risorgimento" ci immergiamo questa volta in uno dei generi letterari più puro e ricco di sentimenti.

É la volta infatti della nuova raccolta di poesie del trent'enne nocese Antonio Natile intitolata "Dove c'era il lago", edito da LietoColle. Pubblicato a Marzo di quest'anno, questa raccolta di poesie è stato il frutto di una passione che Antonio porta avanti da parecchi anni, ovvero da quando nel 2006 ha cominciato a curare la manifestazione di poesia intitolata "Sempre Nuova è l'alba", organizzata e portata avanti per circa quattro anni in onore dello scrittore, poeta e politico italiano Rocco Scotellaro. E proprio in ricordo del suo pensiero meridionalista del secondo dopoguerra e della sua ricerca etno-antropologica di quegli anni, Antonio Natile ha pensato bene di osservare la sua terra natia, per raccontare direttamente tramite l'uso della parola quanto la nostra terra adesso sia "avara d'acqua". L'acqua diventa dunque un bene materiale che tende a nascondersi in un terreno che oggi è solo pietra dura, cruda come la realtà. E così come intorno a noi non vi è alcuna testimonianza di un lago, nello stesso modo non esiste Maria, figura a cui è dedicata l'intera raccolta. E se dunque sia il lago che Maria non esistono, noi, di cosa andiamo alla ricerca? Siamo alla ricerca della Verità, qualcosa che possiamo scovare attraverso la poesia. Vediamo dunque cosa ci ha riferito Antonio Natile.

10-16Antonio_NatileLa poesia tende talvolta ad essere intervallata da prose dialettali. Quale giustificazione? Nella stessa maniera in cui il Sindaco di Tricarico prima citato (ndr. Rocco Scotellaro) si interessava alla cosiddetta questione meridionale, nella stessa maniera io, attraverso il dialetto della mia terra, ho voluto suggerire una dimensione Universale del territorialismo. Un esempio ecclatante di tale sentimento sono i versi della poesia intitolata a Menuccia. Ferma alle quattro/ meno cinque/ la lingua ancora/ attaccata al palato di carne/ lo tenne nascosto/ il suo dialetto/ serbocroato,/ quasi montenegrino/ sicuramente lucano.

Tutto andava visto da lontano. Perché il lavoro del poeta deve osservare la realtà in questo modo? Il mondo di oggi ci mette dinanzi ad immagini in primo piano; la televisione ne è la dimostrazione. In questo modo siamo costretti a doverci soffermare sui particolari di qualcosa purché la nostra attenzione si soffermi solo ed esclusivamente su ciò che ci viene proposto. La dimensione che la poesia invece deve darci è un'altra. Serve che tutto vada osservato globalmente, che si abbia una visione completa del tutto. Perché rimanere fermi? La poesia è saper cogliere l'universale nel particolare, riuscire a rimandare poi ad una visione collettiva.

A cosa può servirci dunque leggere un libro di poesia? A cosa ci serve leggere di mondi esplorati da occhi altrui? A emozionarci e basta? No, molto di più. La poesia ci serve a saper andare oltre, ci serve a praticare l'arte della potatura e, come dice Antonio, a saper tagliare dove è necessario, ad andare oltre e a saper andare a capo quando la vita ce lo impone.

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