Il libro e la poesia dei mestieri di Vittorio Tinelli al circolo Pivot di Castellana Grotte

06-16-il_libro_dei_mestieriLIBRI - “Si  inpizharà i nostri mili paralar e pensar nòvi/Inte ‘n paralar che sarà un parlar e pensar nòvi/Inte ‘n parlar che sarà un par tutti/fondo come un basar/vèrt sul ciaro, sul scur,/davanti la mandra, impiantada inte ‘l scur/ col sò  taj ciaro, ‘pena guà da sempre.” (Se incendieranno i nostri mille parlare e pensar novi/In un parlare che sarà uno per tutti/fondo come un baciare/ aperto alla luce, sul buio/davanti alla mannaia piantata nel buio/col suo taglio chiaro, appena affilato da sempre”.) Andrea Zanzotto.

Chiute. Sobbe a terrea’ jesse esperte / n’a’ lassà a porte aperte / Statte attinte tine chiuse/pure u mineme pertuse/ca sa noche vene u latre/e t’arrobbe solte e quatre./ Ma chiù spisse ‘u latre attive / nan te lasse manche vive./Manche muerte. Punte e baste:/ -Tine sempe chiuse caste!” Vittorio Tinelli. 

Un poeta non muore, né è schiavo: Zanzotto ci consegna il canto del gallo, un dono per il nostro risveglio. L’indeterminatezza del “si” impersonale è solo apparente, punta affilata del primo verso. Un poeta non muore, né è schiavo, non ha certezze ma si muove, sentendo e vedendo barlumi di verità, schegge di universo. Un poeta non muore, né è schiavo, non ha certezze, ma sanguina, eternamente e lo fa per ogni singolo uomo. La poesia è luce e flagello, orientamento per chi segue il suo lumicino e coraggio per chi lo porta, sempre in bilico sul precipizio del buio.

Andrea Zanzotto, Vittorio Tinelli: uomini arruolati al servizio della parola, agli ordini della verità e della bellezza, entità trovate, perse, e ri-cercate, inevitabilmente. Di questi due grandi poeti si sono respirate le parole, nello stesso giorno, in coincidenza: non devono meravigliare le coincidenze quando c’è di mezzo la poesia. La poesia è un elemento circolante, atmosferico, contaminante: è sempre causa ed effetto insieme.  Il 19 ottobre di questo anno che scorre di Andrea Zanzotto si è ricordato il suo recentissimo partire dalla vita, di Vittorio Tinelli  il suo ridarsi alla vita, sul dorso della poesia, attraverso un magnifico lavoro scritto. 

“Il libro dei mestieri” di Vittorio Tinelli è stato presentato a Castellana Grotte presso il Circolo culturale Pivot grazie alla gentile ospitalità del Presidente Federico Simone e dei suoi soci. L’incontro è stato reso possibile grazie all’interessamento del Presidente degli artigiani di Noci e dell’azienda artigiana LAECON, alla presenza del Presidente dell’associazione intercomunale “Maestri e maestri”, dei titolari della LAECON, Natale Conforti e Silvano Laera, del Presidente dell’associazione culturale “Terre delle noci” architetto Franco Tinelli.

La prima voce è stata quella storica e colorata del prof. Pierino Piepoli. Non solo un elogio il suo, ma un reportage di ricordi, fotografie, antiche pagine di una rivista castellanese attenta ai mestieri.  Piepoli ha chiamato all’appello la figura de u remunnatore (il  remunnatore o potatore), distinguendo tra il potatore ed il remunnatore, dando al secondo una funzione altra, più sottile, più complessa e dedicando al primo il ricordo di un primato in quest’ambito, quello del mulo, il primo potatore assoluto.  Entrambi fondamentali alla pianta e all’uomo, al di là della funzione meramente estetica o produttiva, perché vitale è la bellezza quanto la sostanza: “Tutte i ramagghie can a so bone/ ji serre e tagghie/sènza perdone/[…]Tutte abbuvèsce porte a fruttàte[…] Addove passe u putatore/l’arve te lasse/ accome nu fiore”(“[…]E tutti i rami/ non buoni  e utili/io sego e taglio senza remissione[…]Tutto rinasce/porta la frutta/E dove passa il potatore ti lascia l’albero come un fiore/”). V. Tinelli; U remunnatore.

 Vittorio Tinelli è perfettamente contenuto in questo libro, in questa finestra rossa, unione di fogli, intensi e colmi d’arte dove come dice Piepoli, anche la prosa è poesia. Un libro è, o dovrebbe essere, sempre una finestra del mondo e sul mondo. Il panorama sapientemente ridisegnato dal prof. Dino Tinelli, è la tangibile riconoscenza di un figlio, ed è la restituzione al mondo di un tesoro che, divenuto ricchezza poetica, diviene di tutti: diritto inalienabile. L’Associazione culturale Vittorio Tinelli “Parole e cose nuove” è prova della volontà concreta di spalancare finestre poetiche e concrete sulla nostra realtà, luci necessarie al ricambio d’aria e all’arrivo di quanto tutti aspettiamo, a volte senza consapevolezza. Un libro sui mestieri popolari può apparire poca cosa se lo si guarda come un collage, una miscellanea di figure, più o meno vive o per meglio dire sopravvissute.

Questo non è un libro, ma è il libro sui mestieri popolari, segnale di una verità non sradicabile, una verità che appartiene alla vita, al mondo, ad ognuno di noi. Queste 447 pagine sono un presepe vivente permanente: da a fèmene de càse, presidio di ogni interiorità e intimità generatrici, al U vuardiàne, roccaforte e avanguardia.

Tutte le figure che magicamente si disegnano nella mente del lettore, tutti i suoni prodotti da questa lingua vernacolare che sbatte, si flette, corrompe il palato e osa vibrare, compongono il più autentico e da sempre cercato presepe vivente fatto di carta e inchiostro. Annunciazione, avvento, nascita, festa gloriosa, contemplazione, epifania: fenomeni veridici, si muovono di pagina in pagina. La poesia è matrice, permette il ritorno del dono di ogni nascita,  il ripetersi del suo mistero. Si affacciano, come disposti di grotta in grotta, i corpi dei mestieranti: i tratti, gli abiti, i colori e i suoni. La poesia di Tinelli è lì che posa gli occhi e costruisce: ecco dove e come siamo stati fatti, ad immagine e somiglianza, ognuno di noi contiene il mistero, e può vivere rivivendolo o morendo. Non ci sono altre strade.

Quella disegnata da Vittorio Tinelli è una comunità, vitale, esistente. Le identità ci somigliano, noi somigliamo loro, se ci guardiamo le mani. Le nostre e quelle in copertina hanno la stessa matrice: è lì che si nasconde il mistero.  Le parole, così come ogni cosa nuova, vengono dalla terra, hanno le radici, vivono qui ed in un mondo comunicante. La parola mestiere ha radici profonde, legate ad un’altra parola dal suono senza tempo: mysterium, il mistero. Qual è il mistero? Quello di ogni uomo, delle linee nelle sue mani, delle capacità innate e delle necessità virtuose, espresse e represse. Come non riconoscersi, in un tratto, anche piccolissimo di ognuno di loro? Impossibile, se solo ci si guarda dentro, aprendosi al canto della poesia e alla storia. In fondo siamo fatti d’altro? Siamo storia e canto, impastate bene al sangue e alla polvere. Il mysterium di ogni mestiere è lo sguardo profondo e cupo che la terra rivolge all’uomo, dal suo abisso. La terra che erge e solleva l’uomo dal suo utero e lo chiama al compito, la terra che in quel compito coglie l’uomo, il suo fare e, poi, le sue membra: così nulla è confuso, e Dio ha ragione.

Le mani, quale strumento può sostituirle? Quale mestiere ne è privo? Le mani sono il mouse del nostro intelletto, movimento e stasi, purezza e fango. Attraverso le mani di copertina Vittorio Tinelli ci permette il giro del mondo se entriamo  nelle sue poesie: non è una proposta turistica, né vacanza, ma umanità connessa, viaggio e riconoscimento reciproco:  a fèmene de càse, u ferràre,u ciardenire, u fabbrecatore, u zappatore, u mèste d’asce, u furnàre, u vegnarule, u varvire, u sartore, a recamatrisce, a mammàre, u lurgiàle, u lattàre ca campanèdde, u semenatore, u vuardiàne : non c’è luogo dove ognuno di questi mestieri non sia stato o non sia ancora, così preciso, come fedelmente descritto dalla poesia di Tinelli, con le stesse antichità altrettanto precise, magari oggi stesso ficcate da qualche parte nel mondo, in un paese povero (di ricchi) dove tutto si avvicenda uguale, senza salvezza terrena, fuori dalle maglie oscure del tempo.    

Potessimo riappropriarci di un po’ della loro autenticità, di ogni piccolezza e noi, lavoratori d’oggi, a volte  macinatori del niente, potremmo compiere lo sfinimento di ogni omologazione, permettendoci un po’ di sudore. L’esaurirsi di queste abilità sono un sacrificio umano, l’allegro suicidio.

Riportiamo il tutto al solito fenomeno chiamato tempo-storia? Così inesorabile! E li attenderanno i musei e le loro teche? Ma non è solo un fabbro che se ne va, è un uomo che scompare ancora e  ancora, per far posto al digitale. La poesia di Tinelli non è un’àncora, ma piuttosto la macchina del tempo, un’occasione di salvezza e di bellezza, quella tersa del mattino presto. Se solo sapessimo tornare indietro, anche solo per un affacciarci, non per moda o per turismo, ma per sapienza! 

Umilmente  due voci femminili hanno evocato il mistero della poesia di Tinelli, Mariella Putignano che ha dato fiato, vita, a a fèmene de càse, e chi scrive, in verità, ha solo tentato con u ciardenire : una grande occasione, un’opportunità per ficcarsi in spazi stretti e scomodi dove sfidare lo sguardo abituato, la lingua intorpidita, vittoria dei tecnicismi,  spinti dalla natura terriera che ci fa dire: “jè so di nuce”, finalmente! Come alla sapienza di Vittorio Tinelli insegnante si è riferito il canto in dialetto inedito di Franco Pace.

Questo presepe vivente permanente che è la poesia di Vittorio Tinelli, è contenitore della divinità, qualunque nome abbia per l’uomo, e qualunque forma assuma. Non c’è differenza. C’è un’immagine splendida nel libro dei mestieri, quella che più delle altre, forse, ha un’aura di mistero benevolo: u cantrerutte. Seduto per terra, gambe incrociate, capo liscio privo di chioma, lento e sereno: un bhudda di cui Tinelli esprime la fierezza, umiltà e forza illuminate dalla dignità. Il bhudda che Tinelli tratteggia intorno alla figura de u cantrerutte  è un perimetro divino; e dove si fa più visibile l’uomo se non nelle immagini nei contorni divini? La  forma umana è rivelazione dell’essenza, la sua e la nostra, che traspira dalla sua ubiquità immobile, dalla sua opera, e dal responso eterno: “Pare che tutto rovini…” a quel tempo e in questo: <<Si può aggiustare. Non si può aggiustare>>.

Noci, 24 ottobre 2011

Antonella Fiore

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