Scevalie’, rule’ ôtur’ de me’ !

L'OPINIONE STORICA di Josè Mottola

Scevalie’, rule’  ôtur’   de   me’ !

 

Gallicismi dialettali nel sud : il caso di  Noci     

 

E’ controversa l’epoca storica cui risale l’ingresso di tante parole francesi nei nostri dialetti, giacché vi è chi propende per l’antica era angioina – ben sette secoli addietro – e chi invece per l’ era napoleonica, che tra 1806 e 1815  modernizzò il Mezzogiorno continentale ancorché con impronta  liberale assai temperata. A giudicare dalle parole del  titolo soprastante, che  esprimono un comando  di  coordinazione della quadriglia, l’origine dei gallicismi dialettali è senz’altro recente:  tale danza, infatti, fu introdotta nelle nostre contrade proprio dalle truppe di re Giuseppe Bonaparte e del suo successore Gioacchino Murat e sopravvisse alla Restaurazione insieme con valzer e altre danze  valorizzate dalla Rivoluzione francese. Peraltro, la tesi dell’origine moderna è suffragata dalla presenza nel dialetto di Noci di parole inesistenti nel francese antico, il che però non esclude l’ingresso di  alcuni lemmi in epoche diverse, anche nell’età contemporanea ricca di neologismi tecnologici; un  caso a parte è quello dei borghi subappenninici dauni di  Faeto e Celle S. Vito , la cui parlata franco-provenzale deriva da quella delle guarnigioni angioine ivi insediatesi  sul finire del XIII secolo.

 

Similmente a quanto avviene altrove nel Mezzogiorno, a Noci  ancora oggi si usa  dirigere la quadriglia  dicendo “Scevalié, rulé ôtur’ de ” (Cavalieri, girate intorno a me: francese Chevaliers, roulez autour de moi), e poi “cundré” (al contrario: francese contraire); e poi ancora “ô sufflé” (letteralmente, al mantice : francese au soufflet, nel senso figurato derivante da due schiere contrapposte di ballerini che si vanno incontro come due lati di un mantice in fase di soffio), “balanzé” (danzare oscillando: francese balancer),  resté  (fermarsi: francese rester),  ”la dame sottobbracce”…

L’allegra quadriglia nocese continua  con un bell’inchino degli “scevalié” in “gelé” (gilè: francese gilet) alle dame in “sciammergle” (veste lunga: francese chamarre) e finisce “ô buffé” (tavola imbandita: francese buffet) con “nu belle cabbaré” di dolci (francese cabaret, nell’accezione di vassoio) .Ora  non resta che indossare “u scemisse” (letteralmente camicia: francese chemise, ma in dialetto è diventato soprabito) e “u bonné” (cuffia o berretto: francese bonnet) per difendersi dalle intemperie: infatti il tempo sta  “che cangé” (cambiare : francese changer) e c’è “aria trùvele” (tempo fosco: francese temps trouble) che può arrecare “dammagge” (danno: francese dommage) “à sandète” (alla salute: francese santé); e prima che il clima   si possa ancor più  ndruvulè” (perturbare, disturbare: francese troubler), meglio prendere subito “nu sciarabballe” (specie di carrozza: francese char-à-bancs) oppure “na sciarrette” (calesse, barroccio: francese charrette) per tornare a casa, magari  con l’aiuto “d’u sciaffèr” (francese chauffeur : fochista, autista).

Ma prima di rincasare, è utile una capatina  “à vucciarì” (macelleria, beccheria: francese boucherie) “ch’accatté” (comprare: francese acheter ; latino accipere?) una bistecca   “d’o vuccìre” (macellaio, beccaio: francese boucher).

Una volta rincasati, occorre prendere “nu buatte” (scatola di latta: francese boîte)  “d’à tascèrre  (scaffale, scansia : francese étagère), ma piano piano per non farsi male, ché manca “u sparatrappe” (cerotto o sparadrappo: francese sparadrap). Poi, dopo aver pulito “a cemenére” (canna  fumaria : francese cheminée),  si va tutti a teatro – ma fuori, giacché Noci ne è sprovvista - per lo spettacolo “d’a sciantòse” (donna appariscente,  cantante : francese chanteuse) “c’u sciambagnòne” (spendaccione, gaudente: deriva dal lussuoso champagne).

Qualcuno vuol continuare, mesdames  et messieurs ? “Arréte a quadriglie !…” (nuovamente: forse francese arrière *  , indietro, nel senso di ritorno, rinnovo).

                                                                                                                                                                                                                            

* Nota. Il francese, come l’italiano e i dialetti nostrani,  deriva dal latino volgare, sicché arrière – pur sembrando la matrice francese diretta del dialettale “arréte” -  non impedisce alla parola  dialettale noceseréte” (dietro) di discendere direttamente dal latino retro. Beninteso, anche il dialettale “arréte” potrebbe rivenire  dal latino retro senza la mediazione del francese arriére – come sostiene Domenico Forti, Dizionario Nocese-Italiano, Putignano, Radio, 2004, pag. 29 -, così come il dialettale “sandète” potrebbe discendere dal latino volgare sanitate anziché dal francese santé : sono questi casi dubbi, come altri, del resto; per esempio, il dialettale “trùvele” deriverebbe non dal francese trouble ma direttamente dal latino turbidus  secondo  il Forti, cit., pag. 160. Anche il dialettale “cangé” potrebbe essere una filiazione dell’italiano “cangiare” anziché una filiazione diretta del francese changer : tutti lemmi con la comune matrice latino-medievale cambiare ; affine è il caso  del francese gilet (figlio dello spagnolo chaleco e nipote dell’arabo gialika, casacca), che ha generato il dialettale “gelé” , ma verosimilmente attraverso l’italiano gilè : insomma,  gilet (padre francese), gilè (figlio italiano) e “gelé” (nipote dialettale). Altra fattispecie, poi, è quella del francese sparadrap (dal latino medievale sparatrapu), che ha generato sia l’italiano sparadrappo che il dialettale “sparatrappe” (cfr. Forti, cit., pag. 147): due fratelli figli dello stesso padre, come forse anche il dialettale “cemenére“ (dal francese cheminée, cfr. Forti, cit., pag.48) e l’italiano “ciminiera”. Delle succitate  ascendenze francesi di “buatte”, “buffé”, “sciambagnòne” e “tascèrre  dà atto il Forti, cit., rispettivamente alle pagine 39, 40, 140 e 155, al pari di quella di “sciarabballe” (pag. 141); la  matrice di quest’ultima parola    sia pure nella variante “scerabbà”, corrispondente al desueto italiano “sciarabà” –  era stata evidenziata già da  Antonio Gabrielli, Poesie dialettali, Noci, Cressati, 1927, pag. 89  .

 

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