A proposito di… mitezza della cultura e della decisionalità della politica

foto-dino-tinelli-bnA proposito di… mitezza della cultura e della decisionalità della politica, (Pietro Citati che recensisce sul “Corriere” il libro di Barbara Spinelli “Il soffio del mite”, Qiqajon, 2012) e del nostro esserci proposti pubblicamente per la rifondazione culturale della politica) oggi sembra che la necessità del consenso, non importa se direttamente partecipato, inquini la stessa possibilità per la politica di individuare problemi, e nello stesso tempo, confermi implicitamente come la coerenza ricercata strenuamente nelle formule di cultura sia destinata a restare schiava di principi astratti.

Gli uomini miti “ambendo il vuoto e il distacco da ogni soggettività”, gli uomini polititi non potendo chiedere per se stessi che la volontà di tutti in qualche modo posseduta… o estorta... fate voi.

Prevalentemente miti i “saggi” convocati dal presidente Napolitano, univoche le volontà decisorie del popolo… libero intorno al Governo… forte futuro. Dove “liberi e forti” saranno stati solo gli uomini di don Sturzo… e gli altri?

Ma, i saggi hanno portato fino in fondo la loro ricerca? E i decisionisti si preoccupano delle conseguenze delle loro iniziative? O lasciano al futuro il compito di una… nuova decisione con ancora minore conoscenza delle cause e senza nessuna verifica  dell’efficacia dei rimedi eventuali utilizzati?

Registrando inevitabilmente carenze e mancanze dai due lati, non resta da dire che l’occasione dell’incontrarsi della mite coerenza della cultura e della forza inconcussa del decidere politico ancora deve trovare la propria materia comune. Solo se questa viene individuata nelle cose e nei luoghi potremo dire di essere riusciti a condividere i saperi che nei luoghi sono indiscutibilmente depositati e le scelte necessarie da portare fino in fondo per il futuro!!!

Intanto, mentre resta evidente che alla cultura non viene lasciato esercizio, quanti, infatti si chiedono “dell’età della terra” o “dell’originarietà del lavoro femminile”, ad una politica sempre meno giustificabile viene lasciato tutto. Addirittura quello che è lo Start Up attuale di culto, ovvero la dimensione economica aggregata, del trasferire ogni elemento produttivo nelle forme della comunicazione digitalizzata, dove scompaiono come per incanto, le incertezze del processo di valorizzazione attuale, oggi bisognoso di sostanziale rinnovamento, come tutti chiedono.

Ma che questa sia l’unica possibilità di riuscita è solo la cultura a doverlo indicare e discutere.

Luca De Biase, intanto, sul Sole del 15 aprile ’13 racconta delle integrazioni tra degni esercizi economici da parte di imprese legate a buona produzione e mercato e quanto può rivenire da una collocazione sugli strumenti di comunicazione digitale di quella che può essere definita una qualche necessità di allargamento o di consolidamento della produzione.

E in questo modo si sconta già il fatto che quanto si produce rivenga da una intuizione arbitraria o da una scelta che mano mano si è riempita di economicità riuscita. Fino a dover considerare che l’integrazione delle imprese alla vasta regione della comunicazione moderna ne rilanci e ne rinnovi la ragione produttiva essenziale, ormai inevitabilmente compromessa o semplicemente dimentica di se stessa.

Ma il matrimonio di cultura e politica risulterebbe per l’eterno infecondo se ancora oggi sembra confermarsi che la politica sia il referente interessato alla diffusione delle integrazioni nel vasto territorio digitale delle ragioni economiche d’impresa. Mentre resta del tutto secondario la stessa ragione essenziale che spinge soprattutto la piccola impresa ad investire e a trasformarsi secondo le innovazioni di mercato, di prodotto e di organizzazione del lavoro che lo start up diffuso consente. E non è vero che solo l’affidarsi ad “imparare la nuova lingua della tecnologia” consente uno sviluppo e una riuscita garantiti, quando, invece, non sarà solo la soddisfazione di un bisogno la ragione di una produzione organizzata. Ovvero si potrà dire certamente che solo nel rinnovamento di una azienda, nell’esercizio concreto del rinnovarsi, il senso della riuscita potrà affermarsi… ma non meno per tutte le altre relazioni di vicinanza con le cose che il trasformare impone. E queste relazioni di vicinanza solo il senso compiuto della trasformazione lo può fornire.

Si dirà, ma del senso compiuto del trasformare non tutti hanno un disperato bisogno… ma, certamente solo possedendo questo senso, in forma adeguata, produzione e consumo diventano integrabili e la responsabilità della riuscita economica non sarà meno lieve della caduta e della crisi! Tanto che si possa integrare e fino in fondo riuscita economica e povertà. Dove si nasconde la stessa elementare ragione dell’economia! Che la ragione politica, degna di questo nome, non può trascurare per un solo istante, se non al costo di diventare completamente autoreferenziale, e di scomparire con le proprie stesse esigenze.

La politica che non scompare anche al costo di sopravvivere (ed è questo il paradosso che viviamo: non c’è partito politico che non conti sull’avventura della digitalizzazione delle imprese, sia in termini di processo produttivo, sia in termini di prodotto e mercato, sia come modernizzazione che tanto consenso procura!) vive di nuovo, invece, quando “l’età della terra” è il nostro esaltare “il confine in permanente tensione di equilibrio tra bosco e coltivo”; quando il “lavoro originario delle donne” è “Il tempo del campo”, piuttosto che il “non lavoro” nella casa!!! (Rif. al Domenicale del 14 aprile)

E che in questo ci sia la ricchezza di Europa e la stessa nascita della economia tra il chiuso della casa e l’aperto del campo, fino alla logica dello scambio, alla ragione politica che prende la forma della parte della fazione che ritrova nei luoghi confinati quanto si faccia corrispondente a difenderli o a conquistarli dice da un lato come non si possa prescindere da questa idea di ricchezza, in ogni spazio europeo, ma che le stesse difficoltà della gestione dell’Europa unita ne sono la permanente conferma. Impedita, per queste stesse ragioni l’unificazione politica dell’Europa, resta la Banca Europea degli investimenti, dice G. Amato sul Sole 24 ore del 14 aprile. (Riferimenti nell’altro documento che vi invio) Addirittura si scopre che la BEI ha introdotto la misurazione della ricchezza individuale privata come criterio di base da valere come cifra introduttiva a qualsiasi discorso sulla valorizzazione economica tramite spirito di impresa.

Quando la nostra proposta di “corsi di formazione e apprendimento” ovunque, in tutte le scuole in collegamento con le imprese, vale, ben altrimenti, a far ritornare come coerenti senso, operatività, trasformazione e cultura!!!!! Dove il tema “dell’ereditare la terra da parte dei miti” per nulla è lasciato alla disposizione inane di chi riceve senza aver mai chiesto, ma dove l’integrazione tra cultura e trasformazione è già  pienamente politica. Politica che, in questo modo, addirittura raggiunge la sua più alta forma pratica, in grado di giustificare e fino in fondo non solo ogni teoria e le nuove applicazione che ne deriveranno, moltiplicate dalla vicinanza permanente all’atto pratico del percepire trasformazione, ma pure e concretamente ogni ricchezza data.

E mentre nuovi rilievi e aggiunte alla cultura del fare si concepiscono diffusivamente come nel caso dei riferimenti al rapporto tra il fare e il pensare testimoniati da “IL” del Sole del 12 aprile, tra “Lavoro intellettuale e lavoro manuale” di Sonh-Retel, o “Il mondo fa l’uomo” di M. L. Forbes… forse possiamo integrare ciò che continuiamo a dire e a fare. Non solo desing!!!

Intanto per i miti, come si diceva con gli interessati, la soluzione dei problemi di Taranto è già nello spazio, nella grandezza che ha consentito quello straordinario impianto, non certo nel fatto che solo per chi non avrà chiesto nulla e non concorso per nulla a modificare le cose… le cose stesse che vengono dall’al di là della trasformazione umana, saranno ereditate per intero, come un nuovo mondo!!! Il mondo, invece non ha mai smesso di invecchiare e di rinascere come si dice nell’altro documento. Ma per coglierne la parusia, il confondersi creazionistico di cielo e terra nel golfo di Taranto sarà sufficiente uno sguardo mite che comincia il mondo, non meno di uno sguardo che ne colga la continua fine!!! Altrimenti non sarà il meraviglioso e il sempre uguale a se stesso quello che vedremo, ma chissà cosa. Ovvero l’impossibile nulla dal quale tutto nasce e che continua paradossalmente a restare nulla per consentire ogni cosa. Dove tutti si legano all’ILVA per come l’ILVA è, nella speranza e nella disperazione, ma senza cultura, senza trasformazione e senza politica!!!

Ma quale la corrispondenza della cultura alla politica allora, di fronte ai luoghi dove cultura è impedita e politica scappa? Cosi Citati termina il suo scritto…

“Quando le visioni  (di un uomo politico) trascurano la piccola attività quotidiana, e si trasformano in idee vaste e lungimiranti, allora il potere diminuisce le sue forze. Nella sua mente scende una nitida qualità intellettuale, che assomiglia un poco al chiarore misurato dei miti”

Cultura è comunità

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