Ma sì, cari lettori e futuri, spero, interlocutori vicini e lontani...

foto-dino-tinelli-bnMA SÌ, CARI LETTORI E FUTURI, SPERO, INTERLOCUTORI VICINI E LONTANI… della Murgia dei due Mari… se abbiamo concesso la libertà allo “startapparo” perché non concederla a chi dell’avviamento di qualcosa è il primo motore, ovvero al notiziante, al nostro giornalista prof. Beppe Novembre?

Che faccia anche lui ciò che vuole. Mettere le facce e ricomporre  accostamenti fruttuosi, limare le espressioni e sottolineare le cariche di umana positività, richiamare le vaghezze della storia e riempire di interruzioni pensate, la rapidità obbligata del nostro tempo, sfidare le intemperanze dei più e confidare nella necessità del restare felici… che se pure fosse che uno di questi propositi strampalati, di pura immaginazione, si conseguisse con una qualche coerenza, avremmo tutti vinto terno, quaterna e… tombola assieme!

Nella vita pratica, per conferma, nonostante ogni intralcio, invece, niente può essere fatto senza che felicità e sapienza siano alla nostra portata, e continuino ad essere quanto di più prossimo accompagni la nostra più elementare iniziativa. Avere cognizione di questo nostro stato non ci porterà al bene, che il bene è per necessità sua disposto sempre altrove, ma stare nella condizione di chi fa e opera, e vedere che ad ognuno questo destino si confà secondo meraviglia, ed è già conferma e condivisione, reciprocità e salvezza collettiva, nel convincimento per evidenza, che a nessuno questa facoltà, la necessità etica dell’azione, potrà essere tolta.

Su questo vi propongo una delle prime pagine del “Libro dell’ass. cult. “Vittorio Tinelli”, prossimo alla stampa, e pure qualcosa su Keynes, l’economia e la politica.

Ma prima una nuova conclusione circa l’agire pratico umano e le ragioni etiche che lo contraddistinguono.

La felicità e la sapienza tengono prigioniero l’agire umano a tal punto da impedire ogni teoria etica. Infatti, se l’azione umana è in vista del bene e questo resta sospeso tra teleologismo e deontologia, la prima dovrà sempre negare che il bene sia da qualche parte nel mondo, la seconda dovrà confermare senza alcuna possibilità di riuscita che il bene come principio sia ovunque!!! La prima resterà, paradossalmente, senza il bene concreto, la secondo sarà una teoria astratta.

Di fatto, invece, queste teorie sono sovrastate dal fatto per il quale ogni azione è legata strettamente al bene e alla sapienza e alla condizione di oscurità persistente del legame in questione, dato che non sappiamo del nostro fare in quanto agito dall’esterno. Dal mondo tutto e dal nostro mondo interiore che costituiscono, istante per istante, ogni forma attiva del nostro agire.

Abbandonare, dunque, ogni teorizzazione etica, per affermare il “bisogna dire” e il “bisogna fare”, accettandone ogni strampalata(!) conseguenza che ripercorreremo analiticamente (!!!) significa riaffidarci alla centralità umana, evitando che i fini… SIANO i mezzi per sostituzione, e che le intenzioni RAPPRESENTINO da sole una qualche coerenza finalizzatrice!!!

Ma una precisazione sul kantismo della postulazione di Dio e del Mondo nella ragione pratica va fatta.

Postulare per Kant non equivale alla postilla particolarissima posta in esergo quale banale premessa di quanto, invece, sarebbe per esclusione, la vita pratica. Postulare significa esercitare nella vita pratica la pensabilità di Dio come il costrutto permanentemente in atto della vita stessa, dove il pensare si esercita spontaneamente e per intero nel suo più adeguato esercizio!!! E questo non è, in questo modo, un esercizio astratto di pensiero, ma l’atto tesso del pensare. Fino a dire che, comunque, pensare è pensare Dio!!! Comunque e dovunque!!!

Che questo Dio, poi, sia il Mondo e l’atto morale, non nega, come pretendono coloro che “vogliono pensare Dio” come un atto deliberato (!?) e per giunta pratico (!!!) ne potrebbe mai negare, che la vita pratica abbia principio e fine!!! Altrimenti o il Dio del pensiero o la moralità dell’azione. Ed è subito evidente come tale alternativa non porti da nessuna parte. Infatti in questo modo si… postulerebbe che all’uomo il pensare sia una… alternativa, una possibilità. Mentre è del mondo la possibilità fino a dover ritenere che la stessa possibilità è del mondo al punto da dover sempre disporre in modo diverso le mie stesse abitudini, le mie abilità, che per intero sono del Mondo e al Mondo rispondono!!! E non l’opposto!

In questo modo si arriva alla kantiana “postulazione del Mondo”.

È del tutto evidente come sia lo stesso ciò che regola la costruzione di una abitudine o di una abilità e il Mondo in quanto tale. Per quanto possano essere acquisite, costruite, esercitate, affinate, progredite, migliorate, le abitudini e le abilità presuppongono la prima la corrispondenza al mondo, trattenuta presso se stessi, e infinitamente esercitata a partire dalla propria natura interiore, la seconda la corrispondenza all’esterno di quanto riesco ad esercitare di me stesso che nel compiuto rapporto con il mondo si esprime.

Qui la postulazione è nel fatto che abilità e abitudine non sono altro che i mezzi e i fini nella specificazione strettamente  umana dell’agire e di quanto resti animato nel mondo!!! Ovvero non ci sarà nulla della abitudine che sia contraddizione delle abilità!!!! Come per il contrario!!! Anche quando una abitudine si oppone alla stabilizzazione di una nuova abilità che abitudine inevitabilmente vuole diventare!!!!!

Ma la radicalità del conseguire la ragione del possibile della contraddittorietà permanente che abitudine e abilità determinano è nella stessa postulazione ulteriore dell’uomo che Kant esprime insieme alle prime e tutte assieme!!! Postulare Dio, il Mondo e l’Uomo, con la Legge Morale, significa finalizzare la Vita nella Morte!!!

Impossibile, infatti, pensare che ci sia una moralità che superi la vita!!!! Se non nella accettazione della Morte, ovvero nella postulazione permanente di Dio!!! Della cosa, la postulazione di Dio nella Vita pratica, adesso assolutamente equivalente alla vita del Pensiero, che ha nella Morte la conferma del proprio essere questuante, richiedente, invocante, appellante!!! Pensiero che si fa domanda! Pensiero che si fa azione pratica!!! E insieme suo diretto corrispondente vivente!!! Tanto che la morte non potrà che essere il limite-illimitante di due vite. Quella del Pensiero che chiede tutto alla morte e quella della Vita pratica che la riempie assolutamente!!! Perché, in fine (!) la Morte è solo ciò che di Vita si riempie!!! Impossibile pensarla in modo diverso!!!

Dunque, carissimi abitanti della Murgia dei due Mari, la Vita Pratica non è da meno della Vita del Pensiero, anzi godono entrambe della stessa apertura che si addice alla luce… ma questo per noi è forse… solo l’ombra del fragno solitario… dove abbiamo goduto dell’ultimo pic-nic di Maggio.

 

 

QUESTO LIBRO

quale “segno lasciato” non accetta per sé, come per ogni suo esito che il giudizio e la compromissione culturale totale. Per come è sempre un inizio nuovo che ogni cosa coimplica nuovamente, per come è una esigenza di finalizzazione coerente delle cose umane che non finiscono, per loro medesima natura, di essere coerenti e di chiederne conferma ulteriore ancora più fitta, per come forse la stessa razionalità umana, la finalizzazione necessaria che “la stella del mattino annuncia”, stenta a credere di poter fare.

Questo libro, non finisce di iniziare, anche perché è una intervenienza che impegna direttamente il mondo al quale siamo obbligati e dove continuiamo ad essere e, siamo insieme, integrali artefici. Dove per noi tutti ci sono i doveri della testimonianza coerente  e quelli ancora maggiori dell’agire necessario che a nessuno può essere tolto. Nemmeno a coloro che sono costretti nel chiuso e nel ridotto.

Per queste ragioni gli scritti interni dell’Ass. Cult. “Vittorio Tinelli” sono oggi resi alla pubblica attenzione. Sono, infatti, e lo saranno sicuramente ancora di più, qualcosa che appartiene a tutti, e che, oggi, si nasconde, in quella sapienza, modernamente aborrita, ma che ad ogni angolo della nostra vita etica, chiede di essere visitata.

Sapienza che come la felicità non è all’ordine del giorno e nessuno può pretenderne la presenza e il consumo diretto, ma che, come fine, si nasconde in ogni nostro atto, fino a confortare e rendere comune ogni nostra intenzione che lo si voglia o meno, che lo si intenda o che le si escluda assolutamente dall’orizzonte umano.

A costoro, a coloro che non mancano, dunque, di felicità e sapienza, che siamo noi stessi nella nostra vita, sotto ogni latitudine, fino a che “la stella della sera” continua a risplendere, questo libro è dedicato, nella convinzione che se solo per poco mancasse la loro presenza ideale, come di coloro che portano con sé inevitabilmente felicità e sapienza, nessuna parola di questo libro avrebbe mai potuto avere la pretesa di testimoniarne il valore umano universale.

 

PER J. M. KEYNES, chiarendo ogni equivoco sullo… sviluppo,

il denaro non è altro che una rappresentazione del… valore della rappresentabilità… prevalentemente numeraria. Ovvero nulla!!! O presso a poco! Altro non  è dato. Dunque, o ce l’hai… la rappresentabilità, o puoi credere di possederlo o di prenderlo o pretenderlo da qualche parte… il denaro! Diventato di nuovo concreto… fino al suo uso!!!!!! Fino alla sua… perdita!!!!!!

Da questo inguacchio la crisi è… mondiale da sempre.

Ognuno può immaginare e di… essere chi sa chi!

Il punto dove va risolta la questione è dove noi siamo, ci consideriamo e veniamo stimati come efficaci!!!

Se è l’Europa, il Parlamento, la nostra Comunità il giudice, o se di giudici ce ne sia un sovrappiù. Tanto la giustizia dell’opinione… televisiva è sempre disponibile… per chi può. Ma anche nel piccolo, con la disponibilità dei cittadini alla politica (mostro impresentabile in ogni democrazia che si intenda secondo Politica).

Siamo infatti, nella nostra democrazia, alla fine delle sue più turpi trasformazioni.

Chi può, ovvero ovviamente tutti… coloro che hanno… disponibilità, si… presentano in politica con il… programma minimo, di leniniana memoria, del “volere tutto”!!! Ma non certo il potere… sempre astratto e per questo immediatamente contestabile, ma la politica dell’opinione… generale, da se medesimi rappresentata… in quanto CITTADINI.

Forti di questo emerito nulla… “pretendono tutto”!!!

Ma forse dimenticano o lasciano correre il fatto, che “tutti politici” equivale a “nessun cittadino”!

E forse il paradosso ha bisogno di una qualche… opinabilità confermata! Di una qualche conferma testimoniata! Addirittura di un qualche esercizio di coerenza logica, se non proprio di un momento di sapienza antica.

“Nessun cittadino” non equivale a “tutti politici”, ma alla perdita netta del restare cittadini, ovvero dell’essere costituiti quali cittadini che hanno a che fare con la “verifica delle legislazioni” e con la loro efficacia pratica permanentemente riscontrata.

Che il cittadino sia il costituito non  deve poi sorprendere. Costui, infatti, non ha mai un ruolo passivo, fosse solo per il fatto di restare la parte decisiva di ogni potere in qualsiasi maniera questo si configuri; sempre comunque necessitato il potere a vedersi costretto a concedere la “verifica delle leggi” a chi delle leggi in qualche modo sarà l’oggetto.

E sarà impossibile per chiunque poter pensare di essere a piacere, oggi oggetto delle legislazioni, domani stesso protagonista della legiferabilità parlamentare, senza accettare che le leggi devono essere accettate tutte e, insieme, tutte restare passibili di modificazione sostanziali che lasciano intendere il carattere astratto di ogni legislazione come di ogni funzione legislativa.

Ma, ogni preoccupazione a riguardo, ovvero la impossibilità che possa corrispondere il “tutti politici” a “nessun cittadino” anche se si caricasse della migliore frenesia collettiva, può nascondere il fatto che ogni scelta, ogni deliberazione è sempre in vista della cosa migliore, e si afferma in una scelta individuale libera. E libera non solo dai fini che in nessun caso potrà prevedere, ma anche dei mezzi che non siano in qualche modo già operanti da se stessi, ai quali l’agire umano si conforma inevitabilmente.

Nel campo delle deliberazioni e delle scelte, dunque, all’uomo compete la libertà di… sbagliare ogni cosa!!! Dimensione pratica che nessun “libero arbitrio” potrà regolare retroattivamente!!! Facendo del pensare un pensare il passato, un banale considerare “l’arbitrarietà della prassi”, una filosofia astratta che ha succhiato ogni ragione dell’agire pratico nella costruzione di una logica coerente dotata di ampie discrezionalità sostitutive, a condizione di separarsi dall’agire pratico umano medesimo. Dove la libertà dell’arbitrio era liberare l’uomo dall’unico dovere individuale che gli compete, quello di riconoscere la decisività compromissoria riguardo alla sua natura di quanto si concretizza quale dimensione pratica del suo agire. Dimensione necessaria esclusiva dalla quale deriva direttamente il profilo obbligato all’esercizio della politica. (1)

Nelle nostre democrazie, allora, si conferma al contrario, come il dominio della discrezionalità sostitutiva faccia parlare di libertà finali piuttosto che strumentali, di libertà astratte che rendono sempre più singolari e costretti i destini, piuttosto di riconoscimenti concreti delle opere in atto.

E la proceduristica utilizzata è propriamente la discrezionalità sostitutiva per eccellenza della libertà dell’agire politico. Intesa come la migliore compensazione a quell’agire libero dell’uomo, dove “l’ultimo esito della ricerca sembra una concreta realizzazione” che non ha di per sé bisogno di nessun commento se non di una tacita e generale condivisione individuale, per la quale non si risponderà mai ad alcuno!!!

Che questo sia lo stato della politica nelle nostre democrazie è confermato dalla estrema libertà, dovremmo dire dalla scientifica avventatezza di ogni programma politico, dove dire il meno possibile è garantirsi la riuscita, ma in quanto l’avventatezza politica non predica che il piano di reciprocità minimo già di fatto conseguito. Dove il principio della realtà, ovvero “la fine della ricerca”, dunque il tacere, “silenzio dove l’amicizia annega”, il già dato, supera ogni costruzione e ogni deliberazione.

Allo stesso modo del valore in Keynes, allora, la politica sta diventando la sostituzione di se stessa. E così come Keynes non può dire altro che il valore, è ciò che in fine chiamiamo valore, così politica o politiche non sarà altro che ciò che ci apprestiamo a chiamare in questa maniera!!! E non sembri uno scandalo sentire la filosofia analitica alta, Wittegenstein e Carnap in questa mappazza, anzi più sarà immangiabile più si crederà che… sia (!) la realtà!

Ma che in questa bolla di aria fritta l’odore di qualcosa, si senta non sarà per dire che se è per sentire… si sente sempre, che l’odore promana!!!

E che l’odore di qualcosa sia la presenza o la distanza è quanto ancora ci lega alla “libertà di sbagliare”, condizione che è già il riconoscimento altrui nel fare il pane buono, dunque dell’incontro e della comunità che la politica è chiamata a regolare.

L’odore delle cose che si sbagliano e si riconoscono ben fatte è, dunque, ciò che non ci lascia mai, nonostante Keynes, nonostante la discesa in politica dei fornai, dei contadini e dei fabbri.

Ma che la politica voglia tutto senza compensare nulla non potrà a lungo essere consentito… come se tutti i forni, i pozzi, le campagne e tutte le officine siano chiusi da sempre!

E senza forni, pozzi, campagne e officine a chi affideremo il futuro?

 

NESSUN PROBLEMA!!!

Ripete lo slogan elettorale: “Saremo ciò che siamo stati”, ovvero una nuova affermazione del reale…

Ma ciò che resta drammaticamente reale è la… discesa in politica di tutti con l’abbandono delle retrovie! Delle operatività concrete. Il contadino vuole la banda larga… l’artigiano una politica del credito… il giovane il lavoro… e intanto il contadino… non coltiva… l’artigiano non sarà mai un… banchiere… il giovane non apre libro e non tocca né zappa né mazza.

La soluzione è certissimamente nel voto!!!

Si proporrà, da parte nostra, di votare a caso (visto che la differenza di schieramento non esiste più, E SI EVITA DI RACCONTARLA) un candidato, venuto magari da… lontano, o da sempre nocese, vecchissimo o giovane di primo latte, che sia stato chiamato a rappresentare altri senza sapere perché… In questo modo il “diritto all’errore” la prima condizione dell’agire umano sarà praticata o almeno richiamata al nostro presente.

COSÌ COME LA RESPONSABILITÀ POLITICA PERMANENTE CHE ABBIAMO SEMPRE OGNI QUAL VOLTA, PER IL CASO PIÙ BANALE, UNA RELAZIONE SOCIALE SI INTERROMPA. Dove, invece, i nostri doveri etici devono aver avuto modo, già da prima, di essere stati esercitati nel trovare soluzioni!!! Ovvero comportamenti adeguati agli altri sempre!!!

E questo lo ricorda un qualche “politico”? magari… già divenuto Sindaco?

 

 

(1)

La questione del “libero arbitrio”, ovvero la necessità della scelta del credere in Dio, materia che il cristianesimo ha opposto alla necessità permanente del pensiero di ”pensare Dio”, ha rivolto nella direzione del mondo ogni pensabilità e ricostruito le attenzioni all’uomo pratico che da questo atteggiamento derivano. E se la legge morale ha potuto insignorirsi fino a rappresentare nelle comunità un principio di condotta da seguire senza che l’agire umano restasse oggetto di scienza e di ragione filosofica, la stessa ragione filosofica è stata costretta a pensare il mondo come se fosse Dio!  A pensare le condotte umane come se non fossero oggetti di ragione, e la stessa pensabilità di Dio, insieme, aderire tanto al mondo, loro malgrado, da scomparire. Dove la scomparsa è ovviamente la “condizione naturale” del pensare!!! Ovvero è il pensare che scompare nel mondo dove il “libero arbitrio” ha decretato la adesione del mondo all’uomo. Facendo fuori ogni filosofia che non fosse… il “libero arbitrio”!!! Il… mondo pensato!!!

Da qui le scelte morali e i comportamenti umani sono di fatto senza contraddizione alcuna e nello stesso tempo alternative concrete al male e al confliggere permanente. Dove ad ognuno è data la possibilità di riconoscersi e di correggersi. Dove restare nell’errore è non solo possibile, ma rappresenta addirittura la condizione necessaria acchè l’errore stesso, il male venga mitigato.

Chi sbaglia, dunque, sbaglia nel mondo, dove la scelta è controllabile, non di fronte a Dio, ovvero in relazione stretta a ciò che le condotte umane lasciano senza risposta!!! Dovendo necessariamente, di fronte all’errore di tutti, chiedersi cosa sia comunità, ragione, errore, male e bene, senza che questo tutti, al quale va riferito l’errore, sia mai stato proferito!!! Mancando la stessa materia, la stessa attestazione di naturalità dei comportamenti umani, comunque coniugata.

Da qui per l’Europa una conflittualità permanente e storicizzabile, ovvero controvertibile, e una moralità della quale si può chiedere la sospensione. Mentre la modificazione di prospettive nelle quali il mondo ridotto alla moralità sospendibile si ritrova, impone che la filosofia prenda per oggetto le ragioni del mondo piuttosto che il pensare, l’agire dell’intelletto medesimo.

Sembra incredibile, ma “l’essere per la morte” di heideggeriana memoria, o l’essere per il nulla dell’esistentività sartriana, ne sono la espressione conseguente e paradossalmente coerente. Al mondo reso pari alla moralità sospendibile la stessa operatività umana è obbligata, ma senza che alcun pensare possa essere messo in campo se non ciò che domina il mondo fatto conflittualità permanente del pensare medesimo!!!

Dunque, si deve pensare la vita pratica, si deve pensare la morte, si deve pensare il nulla, ma nel mondo!!! Quando, al contrario è la vita pratica che non esercita il pensare, è la vita pratica che è impossibile senza la morte, è la vita pratica che non prevede il nulla, ma l’errore permanente, al quale è impossibile sottrarsi!

Tutte queste disposizioni sono le ragioni pratiche sospendibili!!! E insieme immodificabili-inalienabili!!! Che non possono diventare altro!!! Né trasformarsi in bene, né restare nel male, ma tutte insieme sono nella loro incredibile varietà ciò che sempre riconosciamo e obbligatoriamente, come oggetto di scienza, tenute sempre presenti, e tanto presenti da essere quella ragione del reale che da un lato diffida della più coerente delle sostituibilità, ad es. l’inconscio per il conscio, dall’altra non sospende alcun che dei comportamenti umani, anche di fronte al terrore e alla violenza, avvertiamo presto o tardi come vitali per tutti quanti gli uomini del pianeta!!!

Che se il contenente delle condotte umane è la morte anche questa in ultima analisi sarà bene! Che se è la felicità e la saggezza il mezzo e il fine intercambiabili all’infinito, il bene ne sarà il suggello e l’occasione di REALIZZAZIONE permanente!!!

Niente, ecco la questione decisiva, può modificare questa condizione umana se non una arbitraria sospensione del bene dato che da qualche parte del pianeta si gode, anche nell’ abominio o nella povertà estrema, la vita stessa e le sue contraddittorietà. Sospensione arbitraria che si presenterà come un dettame senza soluzioni pratiche per nessuno!!! Né la… carità universale ha mai avuto credito e da qualche parte si sia mai concretizzata per qualcuno.

L’Occidente, carissimi tutti, è in queste condizioni. Vive una conflittualità interna impossibile da regolare perché manca di un pensare adeguato alla propria vita pratica, è impotente fuori dai suoi confini perché predica a vuoto pace e guerra, consumi e produzioni, tesaurizzazioni e ostentazione degli scarti inutili e non riesce a trovare il vero universale comune che solo il pensare trattiene.

Non basteranno due Papi a risolvere la questione. Sorprendente il fatto che Pier Paolo Portinaro, abbia profetizzato sul finire degli anni Ottanta del secolo scorso, che “quest’età del nichilismo non ci lascerebbe altra prospettiva che il vivere nell’attesa di un altro San Benedetto e delle sue nuove regole” (e magari, poi, anche di un santo Francesco che dal pensiero delle… regole del conflitto, scenda al… pratico ireneico della pace perenne!!!) ma forse ancora prima bisognerà tornare alla materia etica, alla natura umana che non chiede favori e non concede sconti… e che la filosofia, meglio ancora gli uomini dell’Occidente pensando pensino pure… Dio, e per questo non siano ritenuti una… miserevole applicazione di atti particolari inconfessabili, ma attori della stessa materia prima della nostra natura umana.

Cultura è comunità

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