Il lavoro è l’attività che rende l’uomo “più uomo”

blog tommaso turi
 
Papa Francesco incontra i dirigenti e gli aderenti al Movimento Cristiano Lavoratori

 

Sabato mattina, 16 gennaio 2016, Papa Francesco ha incontrato nell’Aula “Paolo VI”, in Vaticano, i dirigenti e gli aderenti al Movimento Cristiano Lavoratori (MCL), nato, in Italia, nel 1970 e fondato ufficialmente l’8 dicembre 1972. Dopo il saluto del presidente nazionale Carlo Costalli, il Santo Padre ha rivolto - al MCL e nell’orizzonte sull’ultimo Convegno ecclesiale nazionale In Gesù Cristo il nuovo umanesimo (Firenze, 9-13 novembre 2015) -  un denso discorso, incentrato sulla “vocazione cristiana al lavoro” e su tre parole significative ovvero sull’educazione, sulla condivisione e sulla testimonianza.

Sul primo punto, il Pontefice ha chiarito che “[…] il lavoro è una vocazione perché nasce da una chiamata che Dio rivolse fin dal principio all’uomo, perché ‘coltivasse e custodisse’ la casa comune (cf Gen 2,15) . Così, nonostante il male che ha corrotto il mondo e anche l’attività umana ‘nel lavoro libero, creativo, partecipativo e solidale l’essere umano esprime e accresce la dignità della propria vita’ (Esort.ap. Evangelii gaudium, 192)’”. In questo senso, nel coltivare e nel custodire la casa comune l’uomo non solo adempie alla sua vocazione al lavoro ma manifesta, esplicita ed conferma la sua dignità umana: nella teologia cristiana, quindi, il lavoro è ogni attività creativa che rende l’uomo “più uomo” e lo fa accedere “di più” alla sua dignità storica e trascendente. Non si tratta, quindi, di una vocazione qualsiasi e di un lavoro qualsiasi: il lavoro umano, per essere degno dell’uomo, deve permettere all’uomo di “essere di più”, in dignità e in valore. In altre parole, il lavoro. per essere a misura d’uomo, dev’essere decente e dignitoso, in ogni sua caratteristica pratica e produttiva, d’incremento d’utilità per l’impresa, per le famiglie e per la comunità civile.    

Sul secondo punto, il Vescovo di Roma dice che anche nel lavoro è necessaria l’educazione. Educare – sottolinea il Papa – “Non è solo insegnare qualche tecnica o impartire delle nozioni, ma rendere più umani noi stessi e la realtà che ci circonda. E questo vale in modo particolare per il lavoro: occorre formare a un ‘nuovo umanesimo del lavoro’. Perché viviamo in un’epoca di sfruttamento dei lavoratori, in un tempo dove il lavoro non è proprio al servizio della dignità della persona, ma è il lavoro schiavo”. Il lavoro, ogni lavoro e tutto il lavoro va umanizzato nel segno della verità, della giustizia e della libertà di chi lavora: per trasformare il lavoro da un fattore della produzione a un valore personale e comunitario è urgente, quindi, garantire il primato del lavoratore sul lavoro e il primato del lavoro sul capitale. Quest’insegnamento del magistero sociale della Chiesa è chiarissimo, dalla Rerum novarum (1891) di Papa Pecci alla Laudato si’ (2015) di Papa Bergoglio. La natura vocazionale del lavoro sta a dire che esso è relativo all’uomo e alla donna, che lavorano e che i soggetti che lavorano vengono prima del capitale e del profitto: lo sfruttamento del lavoro (soprattutto giovanile e femminile) e la schiavitù del lavoro (soprattutto degli immigrati e dei “nuovi disoccupati”, padri di famiglia) gridano vendetta al cospetto di Dio perché queste pietre di scarto  sono i poveri dell’indotto della crisi profonda delle società postindustriali, che ha creato ciò che Bauman (1925) chiama le vite di scarto. Allo sfruttamento e alla schiavitù del lavoro e del mercato del lavoro s’aggiungono, dice, inoltre, il Papa, le sporcizie sociali dei favoritismi e delle raccomandazioni il cui terreno immorale è padroneggiato dalla corruzione che, sfaldando il tessuto ordinario e ordinato della convivenza civile, finisce, attraverso e spesso, la compiacenza della burocrazia, per alimentare l’illegalità diffusa e la criminalità, organizzata e no.

Sul terzo punto, il Pontefice così s’esprime: “Il lavoro non è soltanto una vocazione della singola persona, ma è l’opportunità di entrare in relazione con gli altri: ‘Qualsiasi forma di lavoro presuppone un’dea sulla relazione che l’essere umano può o deve stabilire con l’altro da sé’ (Lett.enc. Laudato si’, 125). Il lavoro dovrebbe unire le persone, non allontanarle, rendendole chiuse e distanti”. Nel lavoro quotidiano, gli altri lavoratori non sono oggetto o strumenti ma persone degne della propria personalità: il luogo di lavoro è, pertanto, sia luogo privilegiato d’intessere relazioni umane di qualità sia luogo normale per santificarsi attraverso e non nonostante il lavoro. L’accentuazione relazionale con gli altri lavoratori e la specificazione del fatto che il luogo di lavoro è luogo teologico per santificarsi implicano una responsabilità laicale che non può mettere tra parentesi le esigenze spirituali e morali del “cristiano che lavora”, insieme alle altre persone, credenti o non credenti. Questa dimensione messa a fuoco dal Santo Padre è molto importante poiché per il laicato cattolico organizzato – come il Movimento Cristiano Lavoratori – deve valere la norma evangelica secondo cui chi lavora deve amare il prossimo che lavora, anche quando questo è un nemico che divide e non unisce i lavoratori.

Sul quarto e ultimo punto, Papa Bergoglio così conclude: “L’apostolo Paolo incoraggiava a testimoniare la fede anche mediante l’attività, vincendo la pigrizia e l’indolenza; e diede una regola molto forte e chiara: ‘Chi non vuole lavorare, neppure mangi’ (2 Ts 2,10). Anche in quel tempo c’erano quelli che facevano lavorare gli altri, per mangiare loro. Oggi, invece, ci sono persone che vorrebbero lavorare, ma non ci riescono, e faticano perfino a mangiare. Voi incontrate tanti giovani che non lavorano; davvero, come avete detto ‘i nuovi esclusi del nostro tempo’”. Ebbene, la giustizia umana chiede l’accesso al lavoro per tutti: perciò, mentre ci sono zone dove c’è lavoro ma non ci sono lavoratori ( perché non sono specializzati) e ci sono zone dove ci sono lavoratori (anche specializzati) ma non c’è lavoro, la testimonianza dei fedeli laici che lavorano dev’essere all’altezza dei tempi nuovi. Innanzitutto, chi lavora ha il dovere di lavorare e lavorare bene; inoltre, chi lavora non dev’essere egoista ma deve interessarsi delle persone, soprattutto dei giovani, che non lavorano e che, non lavorando, non possono contrarre matrimonio e avere un’abitazione dignitosa. Bisogna mettere in circolazione, cioè, una testimonianza virtuosa che non chiude gli occhi di fronte alle esigenze lavorative delle nuove generazioni: è necessario un patto intergenerazionale e solidale che unisca le coscienze vere e rette della società al fine di garantire, attraverso “il diritto al lavoro”, una convivenza umanistica che, in sintesi, è l’armonia tra l’umanesimo cristiano e l’umanesimo costituzionale (cf Costituzione italiana, art.1,1°).-

                                                                                     

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