Enrico Gioia: poeta tra fisica e metafisica

blog tommaso turi

L’Associazione  di Promozione Culturale Pro Loco di Noci ha curato, di recente (2015) una piccola pubblicazione, senza indicazione tipografica, di alcune poesie – in lingua dialettale e no – dell’avvocato Enrico Gioia (Noci, 1° settembre 1904; Lodi, 1° febbraio 1973). Il lavoro – che si avvale della fattiva collaborazione del figlio Mario e del nipote Gianfranco Silvestri – è formato da 25 liriche e da 6 foto di corredo illustrativo, tra cui spicca, sul versante storiografico, quello della “chiesetta antica” di Santa Maria della Scala (cf p.31).

Al netto di alcune sviste macroscopiche di natura metodologica (=mancanza di un’introduzione contenutistica, formale e sostanziale; assenza dell’indice generale e particolare; inesistenza di giustificazioni convincenti in ordine al “salto cronico” dal 1949 al 1969; cf pp.10-11), c’è da dire, comunque, che l’iniziativa della nuova Pro Loco di Noci – che non ha nulla a che vedere con quella “storica” degli anni ’60 e ’70 del XX secolo – è, certamente, un’iniziativa meritoria, che va purificata dagli evidenti pressappochismi provincialistici e frettolosi.

Senza addentrarci nell’innocente retorica del “neorealismo localistico” (cf Gentile, p.1) – comune ad altri poeti locali, non professionisti e poco conosciuti dalla comunità scientifico-letteraria –,  ciò che più emerge dalla “poetica, a tratti, vellutata” di Gioia (cf De Grazia, p.2) è la relazione latente, ma efficace, che egli instaura tra la fisica e la metafisica: relazione che gli riviene dalla conoscenza, vasta, profonda e poliedrica delle discipline umanistiche, non disgiunte da quelle astronomiche e cosmologiche.

Dal punto di vista della “fibra narrativa del lirismo di Gioia”, non c’è dubbio, come già accennato, che essa è innervata da un dialogo costante tra la fisica e la metafisica, la terra e il cielo, la morte e la vita, gli occhi neri (cf p.7) e gli “occhi bianchi”, i tre campanili delle chiese (cf p.11) e i tre campanili del firmamento, la luna storica (cf p. 15) e la luna eterna,  il bosco verde (cf p.20) e il bosco iridato.

Nella poesia Occhi neri (=maggio 1949), la biologia degli occhi (=specchio dell’anima) fa scaturire le scintille dei pensieri, con precise risonanze pucciniane, tratte da Tosca (1900): inoltre, le scintille dei pensieri sfociano direttamente nella sfera metafisica, intesa quale spazio infinito che cerca la sua verità nella certezza di non poterla mai raggiungere e tuttavia non s’arrende. In specie, l’arte di ogni immaginazione poetica, che parte dagli “occhi neri” fluisce e s’immerge nell’oceano dell’amore. La fantasia s’impadronisce delle pupille perché il sogno (=metafisica inconscia) è più emozionante del “neorealismo localistico”: Gioia, mentre delinea “i quadretti paesani” (cf Gentile), in verità, disegna “i lampi fugaci” dell’attimo fuggente e gli “sguardi armonici”, che dalla felicità momentanea s’involano verso l’Oltre dell’eternità.

Nella poesia Saluto a Noci (=luglio 1969), la città dei tre campanili diventa, metafisicamente, “la città dei tre minareti”: Gioia unisce, così, la Chiesa cattolica all’Islam (cf Concilio Vaticano II, Nostra aetate n.3) in un quadrante storico ancora acerbo e inesplorato: in tal senso, nel 1969 – ovvero nel vivo delle “contestazioni studentesche” e degli “autunni caldi, tra operai e padroni” – egli profetizza la mistica orante tra i campanili e i minareti. Allora, Noci non è più “la vecchia Noci” (contadina, rurale, tiepida, ecc.) ma è “la giovane Noci”, quasi neomazziniana, dove comincia ad abitare una libertà più diffusa, anche tra le giovani generazioni, un po’ rampanti, soprattutto nelle attività produttive legate all’edilizia. Nel 1969, per Gioia, Noci è “già” oltre “il non ancora”: questa metafisica attrattiva è come una madre che partorisce nuove e dinamiche creature che abbelliscono il mondo del futuro e la creazione continua.

Nella poesia Alla luna (=settembre 1969), Gioia aggiunge un altro tassello alla sua latente metafisica umanistica perché la sua “luna storica” è specchio prediletto della “luna eterna”. Insieme alle evocazioni mitologiche, neoromantiche e leopardiane, la luna storica di Enrico Gioia è, in ultima istanza, la sentinella della verità, della giustizia, della libertà e della solidarietà; è la sentinella dell’amore che tutto conosce nel suo spirito invisibile. Il silenzio della luna serve a fotografare ogni frammento di vita per collocarlo nell’eternità; ogni azione umana, ogni programma familiare, ogni pianificazione economica e ogni passione civile vengono trasfigurate in “un grande ed eccellente cantiere edenico”. La luna storica non dorme mai perché è sempre illuminata dal Sole che non conosce tramonto: la conquista della luna non coincide con la conquista del mondo ma coincide con la conquista della memoria del futuro perché “la luna eterna” conosce, già, sia la preistoria sia la storia sia la metastoria del genere umano.

Nella poesia Il bosco (=estate 1970), Enrico Gioia raggiunge, infine, la cima della metafisica umanistica perché trasforma “il bosco verde di Noci” nel “bosco iridato dal cielo”. Dai boschi verdi di Noci si vede la luna ma si è anche guardati da essa: la luna non conosce la brezza leggera leggera che traversa la foglie vive degli alberi ma conosce ciò che è scolpito nel cuore di ciascuno di noi: la sentinella del Cielo è pure la sentinella del cuore e delle danze delle labbra umane. Nei boschi verdi e popolati dei nocesi c’è una verità nascosta ma reale; c’è una nostalgia del futuro che anticipa “il bosco iridato”, cementato dalla pietra, dal mare, dalle stelle e dal sole. Il pudore etico di Gioia gli fa dire che “gli amplessi profumati delle erbe boschive” prefigurano un atto coniugale irriducibile e adesivo; in realtà, egli vuole dire che soltanto l’amore tra una donna e un uomo è il paradigma capace d’inglobare tutti i boschi creativi di Noci e tutte le sentinelle vigilanti del firmamento.

Enrico Gioia – essendo un poeta che si situa al confine tra la fisica e la metafisica, tra il neorealismo localistico e il romanticismo cosmico – è, infine, un vero poeta che, ascoltando i battiti del cuore, scrive con quell’intelletto d’amore che, in certo senso, rende concreta la sua “aristocratica originalità”.- 

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