La poesia di Francesco Lobalsamo

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La poesia è la lingua materna del genere umano: quest’aforisma di Johann Georg Hammann (1730-1788) dice che anche la poesia di Francesco Lobalsamo (Bari, 1° agosto 1965; Nostalgia del futuro. Poesie tra finito e infinito, VivereIn, Roma-Monopoli, 2016) appartiene, di diritto e di fatto, all’onda lunga attivata, in Italia, da Alda Merini  (1931-2009) e dai suoi immediati seguaci. La cifra spirituale, esistenziale, morale e prospettica della poesia di Lobalsamo (ospite, a Noci, della “Casa per la Vita/Vicini di casa”) ruota attorno ad alcuni nuclei tematici e problematici, che stanno, tra la terra e il Cielo, tra la storia e la gloria, tra il presente e il futuro, tra il penultimo e l’ultimo, tra il finito e l’infinito: la libertà attratta dalla forza gravitazionale del pianeta, non permette al nostro autore di volare dove osano le aquile: la sua aria ossigenata e tersa è, comunque, la nostalgia del futuro che sta, sempre, tra il”già” e il “non ancora” della pienezza della vita, assaporata in tutte le quattro direzioni spaziali. In certo senso, i paesaggi mentali della poesia di Lo balsamo, i suoi orizzonti psichici, i suoi sentimenti ragionevoli, i suoi soli luminosi e le sue lune ispiratrici si concentrano nella zona magnetica del divenire dell’essere e dell’esistenza umana.

Il primo tassello della poetica di Lobalsamo è l’anelito alla libertà non soltanto “di” (=libertà morale) e “da” (=libertà dai condizionamenti) ma anche “libertà per voler bene”: la vocazione alla libertà dallo spirito, dal corpo e dall’apertura alla trascendenza è per il nostro poeta la libertà liberante della specifica vocazione cristiana, personale e comunitaria, siderale e cosmica. Essere liberi per voler bene è un vero e proprio programma di vita, è una visione globale del vivere, è una percezione totale dell’unità del genere umano ovvero della “fraternità”, dove fiorisce la comunione e “la condivisione delle differenze” e dove non ci sono “pietre di scarto”.

Il secondo tassello della creatività lirica del nostro autore barese è la contemplazione del silenzio dove la parola risuona e crea la realtà policroma, soprattutto durante le notti abitate dai sogni e dall’insonnia. Il silenzio della notte è, cioè, la fisarmonica sonora dell’immaginazione e dell’innamoramento, dell’arte e dell’arte delle arti: imprigionato dal silenzio, Lobalsamo esplode nella ricerca della sua verità graziosa, vellutata, elegante, fine, carezzevole e, quasi, aristocratica. Il silenzio del nostro poeta è colmo di eccedenze mistiche, di tracimazioni ascetiche e di spiritualità che esonda.

Il terzo tassello dell’intelligenza prudente, ma non perduta, di Lobalsamo è il letto dell’amore, che evoca alcune suggestioni sublimi e bibliche del Cantico dei cantici: quando il nostro poeta “stringe a sé qualcuno che non c’è”, egli sa bene che l’amore si cerca e si trova, si trova e lo si cerca ancora. L’Amore trovato pienamente – che è Dio – apre tutte le finestre che ammirano il mondo: la propria stanza, la propria casa, la propria famiglia, la propria comunità sono il contorno della “primavera attesa” e del “pesco profumato”. Il letto dell’amore è l’altare sacrificale del mondo che rinasce, che risorge: mondo che rimanda al significato e al senso dell’amore senza ma e senza se, che è l’amore che si dona e basta, che s’incammina senza ritorno, come le alghe che si fermano sugli scogli del mare.

Il quarto tassello della scintilla neoromantica e, a tratti, utopica della poesia di Lobalsamo è la malinconia che non è una lenta agonia ma è, al contrario, una fiaba magica perché è dal dolore vissuto nella carne e nello spirito che nasce l’amore autentico: la malinconia di Lobalsamo non è quella di Leopardi (1798-1837) o di Shopenhauer (1788-1881). La malinconia del nostro autore è tipicamente meridionale, è un fiore che avvolge e coinvolge l’erba fresca e balsamica. E’ nella “nostalgia del passato” – anche materno, familiare e amicale – che Lobalsamo trova “la nostalgia del presente plenario”, popolato dalle meraviglie attraenti dell’irripetibilità storica di ogni persona umana. Le magie orientali e la conoscenza puntuale delle civiltà antiche ma sempre nuove permettono al nostro poeta di disegnare un futuro che ancora non c’è: questo futuro non è un futuro generico e alienato ma è, invece, un domani impastato d’onestà e di pacificazione, di reciprocità e d’interdipendenza, di verità e di giustizia, di libertà e di solidarietà.

Il quinto tassello – e ultimo – del “pensiero inedito” di Lobalsamo è il Cielo: il Cielo, come più volte ha sottolineato Papa Benedetto (2005-2013), non è una categoria geografica ma è una categoria teologica perché esso è la comunione della santità cristiana con la Santissima Trinità: il Cielo di Lobalsamo, essendo un cielo poetico, è un cielo senza spazio e senza tempo ovvero è un cielo di tutto lo spazio e di tutto il tempo. Lobalsamo ci suggerisce il fatto che il Cielo coincide con la santità della vita e questa è l’accettazione della grazia e di tutti i doni divini, senza meritarli. La santità cristiana è, ancora, vivere la vita ordinaria e feriale come se fosse una vita straordinaria e domenicale: la santità di Lobalsamo è, infine, quella che deriva dall’amare e dall’essere amati. In altre parole, la vita umana vale soltanto quando vive insieme all’amicizia, all’innamoramento e all’amore.

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