Come donna innamorata

temTemperamente - In Come donna innamorata Marco Santagata indaga quell’annoso problema che Dante si trovò a fronteggiare quando nel 1290 la sua musa ispiratrice, al secolo Bice Portinari, decise di morire, probabilmente di vaiolo. Come poteva continuare a decantare le lodi di una di una donna morta? Certo Dante non voleva passare per necrofilo… Fortunatamente, il genio letterario lo aiutò anche in questa sua impresa.

Il romanzo di Santagata comincia narrando questo momento topico della vita del Sommo Poeta: l’amico Lapo arriva a casa sua e gli comunica la notizia; da lì Dante ripercorre la strada dei ricordi che l’hanno portato a lei, tra flashback, memorie e definizione della sua poetica, mentre avanza nel corteo che lo porterà a casa della morta e a prendere altro tipo di decisioni.
Avrebbe riparato scrivendo un libro.

Dante conosce Bice da bambino, poiché era la sorella di Manetto, suo grande amico; non ha nessun ricordo di lei bambina, ma il suo fascino lo soggioga completamente quando da preadolescente gli Alighieri sono invitati a casa dei Portinari e lui ha un fuggevole incontro con lei: ormai completamente donna, vestita di cremisi, Dante ricorderà soltanto un ammaliante guizzo di occhi verdi, quegli occhi così particolari, malinconici e dolcissimi, che seducono uomini e donne e conferiscono a Bice il suo particolare fascino. Bice esercita su Dante però un potere speciale: è capace di scatenare in lui quel male che tanto lo fa vergognare e fa pensare ai suoi che il figlio sia posseduto addirittura dal demonio: soffre infatti di convulsioni provocate dall’epilessia. Ogni volta che incontrerà la sua bella musa si verificherà un episodio simile, restando legato a lei con un rapporto a doppio filo. Questa donna impossibile, questo angelo custode delle sue grazie letterarie, sulla quale Dante si interrogherà, chiedendosi quali siano i veri sentimenti per lei, diventerà il fulcro della sua vita poetica, culminando nel libro La vita Nova, libro che segnerà l’assoluto distacco dantesco da certo tipo di poesia – quella degli amici Lapo e Guido – e che lo porterà poi a eleggerla faro salvifico – appunto Beatrice – nella Commedia.

Quando ho appreso che questo romanzo su Dante era entrato nella cinquina del Premio Strega, mi sono un po’ stupita e un po’ no. Ho pensato fosse comodo farlo entrare in questa rosa, data la ricorrenza che quest’anno cade con la vita del poeta; ma ho anche pensato che forse un libro simile non sarebbe stato così facilmente ben accetto in quello che è il premio più commerciale – perché fa vendere più libri – che abbiamo.

Mi sbagliavo in entrambi i casi. Innanzitutto non avevo letto il libro né mai altro di Santagata: basta poco per scoprire che questo narratore è innamorato della cultura italiana basica. Studioso di Petrarca, Pascoli e Leopardi, ha anche già scritto un romanzo sulla vita di Dante. Indi non è nuovo all’argomento, e la sua non è una trovata per colpire il pubblico dello Strega e i suoi giurati.

Ma andando oltre le sterili polemiche sui premi – che lasciamo a chi siede comodamente nelle poltrone dei vari salotti letterari -, dirò che questo libro mi è piaciuto: perché mostra Dante nella vita di tutti i giorni come uomo normale (come eletto e come bastonato) quale probabilmente è stato, e perché è scritto bene, in modo accattivante e scorrevole.
Ma d’altronde:

Dante Alighieri non ha paura della verità, Dante Alighieri non svaluta i doni di Dio. […] adesso sapeva che nessuno può giudicare l’operato di Dio, che i suoi strumenti sono imprevedibili e misteriosi. Che perfino un umile scrittore può essere chiamato a servirlo.

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