I sei sospetti

temTEMPERAMENTE - L’anno scorso il quotidiano La Repubblica ha proposto per gli amanti della lettura, e in particolare per coloro a cui piacciono i gialli, una simpatica collana denominata “Giro del mondo in noir”, in venivano ristampate opere ambientate in particolari Paesi per noi esotici, con cui molto probabilmente non abbiamo dimestichezza.

Ho scoperto questa offerta passando per l’edicola verso il mese di luglio, potevo ordunque farmi scappare la possibilità di ‘visitare’ l’India? Assolutamente no. Lo scrittore de I sei sospetti è il diplomatico indiano Vikas Swarup (il romanzo era già uscito nel 2009 per la casa editrice Guanda e lo si trova comodamente in giro così).
Scommetto che il nome non vi dice nulla, ma se vi dico che è l’autore del best-seller Le dodici domande, da cui è stato tratto il film The Millionaire, vi giunge qualcosa in mente, vero? La pellicola fece incetta di Oscar e grazie dei flashback del protagonista ci aprì uno spiraglio sul mondo indiano. Mondo indiano che viene ulteriormente approfondito in questa nuova avventura, in un’indicibile discrasia tra ricchezza sfrenata e miseria assoluta. Ma veniamo a noi.

LA TRAMA: Vicky Rai è il rampollo scapestrato classico menefreghista dei problemi altrui, delfino del ministro dell’Interno Uttar Pradesh, se possibile ancor più privo di scrupoli del figlio. Dopo l’ennesima gabola giudiziaria, riesce a farsi scagionare persino dall’accusa di omicidio per futili motivi, e dire che c’erano stati fior fior di testimoni. Quando c’è da ricordare i fatti però, ecco che i ricordi iniziano a vacillare, fino a scomparire, forse aiutati dall’onnipresente e onnipotente dio denaro. Molti sono gli esausti da questo sistema doppiopesista, uno per i ricchi e uno per i poveri, e qualcuno decide di agire.

Durante la festa per la scarcerazione nella sua villa a Nuova Dehli infatti (e qui si denota tutta l’arroganza di chi la fa franca e se pavoneggia pure), Vickas Rai viene ucciso da un colpo di arma di fuoco. Non lo rimpiangerà nessuno, ma giustamente lo Stato respinge l’idea dell’autotutela, del farsi giustizia da sé, per cui bisogna trovare l’assassino.

I sei sospetti del titolo sono tutti coloro che avrebbero avuto un movente e la possibilità di compiere il delitto, e questi non potrebbero essere più diversi per estrazione sociale e carattere: c’è la dea di celluloide di Bollywood, l’americano sciocco e che vive in un mondo suo, l’aborigeno in cerca di una pietra sacra per il suo popolo, l’impiegato che verrà posseduto niente po’po’ di meno che dall’anima del Mahatma Gandhi, il giovane ladro di cellulari invischiato in affari molto più grandi di lui, e addirittura il padre stesso della vittima, il ministro dell’Interno Uttar Pradesh.
Punto forte del romanzo è la sua struttura, composta da macrocapitoli che sono le tipiche fasi dell’indagini fino all’immancabile Confessione, passando da I sospetti, I moventi e Le prove. Nella lettura non troverete carenze di colpi di scena, e anche i più pretenziosi riconosceranno che alla fine torna tutto, e Swarup conclude con maestria tutte le vicende che aveva presentato durante la narrazione.

Vivamente consigliato, anche se forse i sei protagonisti principali sono un tantino stereotipati, e non hanno una crescita percepibile. Ma forse anche questo è studiato e voluto, per riprendere il concetto di casta chiuse che in India è uno di quei pilastri immutabili, intoccabili, eterni.

Vikas Swarup, I sei sospetti, Guanda, 2009

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