Nel nome della madre

temTemperamente - Nel nome della madre è il primo romanzo di Alessandro Greco, uscito ieri per Miraggi, tratto da una storia vera, la sua. Ed è stupefacente per diversi motivi: perché è il suo primo romanzo (anche se aveva già curato diverse antologie) e scorre levigato e tranquillo come fosse il suo decimo libro; perché la sua storia è tanto assurda quanto normale e vissuta ogni giorno da tante altre persone “normali”; perché è incredibile quanto possa essere beffarda la vita e quanto bene faccia la scrittura.

Il romanzo inizia con una lettera dolcissima e straziante scritta pre mortem: Alessandro ha scoperto di avere un tumore al cervello, le possibilità di salvarsi non sono certo mille, perciò decide di lasciare alla sua bambina, Sara, uno scritto, per restarle miracolosamente accanto anche negli anni a venire. Come si può ben immaginare, l’incipit de Nel nome della madre è intensissimo, l’autore apre il suo cuore di padre e parla con la bambina ma anche con l’adulta che sua figlia diventerà, prefigurandosi situazioni ed emozioni che forse, probabilmente, vivrà, con una sensibilità dolorosa e malinconica.

In un secondo, piangerai l’eternità. Da allora sarà così sempre.
Ma la vita va avanti e sa sorprenderti: Alessandro si opera e sopravvive, la vita può ricominciare, soprattutto dato che c’è un secondo figlio in arrivo. Come dicevo, però, la vita sa sorprenderti: ciò che sembrava scontato e ovvio si arrotola su se stesso, le cose prendono una piega imprevedibile e tutto va in frantumi per ragioni inspiegabili. Edoardo muore immediatamente dopo la nascita e Federica, la moglie di Alessandro, sua colonna e pilastro nel periodo della malattia, piomba nella disperazione più cupa. Sembra quasi l’ironica, impietosa e bastarda tassa che Alessandro deve pagare per la salvezza della sua sanità mentale…

Dove sta scritto che le persone debbano interessarsi per forza a noi? Perché dovremmo essere così autoreferenziali da porre la nostra storia di vita come esempio e modello per tanti altri che non possono nemmeno tenere la penna in mano?
Alessandro Greco ha scritto un libro difficile, travagliato, bellissimo e universale. La storia di un uomo, la sua personale tragedia, che ha dei nomi, dei tempi e dei luoghi unici e specifici, diventano pagina dopo pagina la storia e la tragedia di tutti gli uomini. Lui ci mette nella dimensione terribile del “E se succedesse a me?”, trasformando quello che che gli si poteva rimproverare – aver scritto un romanzo autobiografico come terapia salvifica – nel suo fiore all’occhiello e nella salvezza del lettore.

La storia di Alessandro Greco travolge, le sue immagini e le sue parole ti entrano dentro, («aprendo gli occhi, vedevo l’estremità di un forcone e temevo mi crollasse in testa: non volevo morire con tutti quei tubi addosso e non c’era nessun forcone ma un nuovo lampadario al neon, grande e multiforme. Aveva gli occhi. Li ho visti. Era un Ufo.») scatenando riflessioni che si allargano, andando molto al di là della paura di morire o della malattia, portandoti in un luogo in cui ci sei tu, la tua vita attaccato a un filo e tutto quello che rappresenta: amore e speranza.

Alessandro Greco, Nel nome della madre, Miraggi, 2016

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