Girl in a band

temTEMPERAMENTE - I videogiochi mi annoiano; ritengo che conversare con gli sconosciuti sia una forma di violenza estrema; scorrere su e giù la home di Facebook mi fa sentire malaticcia; se guardo fuori dal finestrino per un’ora intera rischio di mettere in discussione l’intero ordine delle cose e, forse anche per questo, quando sono in treno, generalmente o leggo o ascolto musica. E sul metodo disgiuntivo che applico quando svolgo queste due attività vorrei porre l’accento. Rare volte nella vita sono riuscita a mettere su un disco (“mettere su un disco”, come sembra antiquata quest’espressione!) e contemporaneamente leggere un libro.

Con il tempo ho capito di non saper gestire al meglio il multitasking, ed è una cosa che, ahimè, ho accettato; quelle volte in cui ho provato a coniugare la lettura all’ascolto di musica sono andata in panico, non sapevo a chi o a cosa prestare attenzione. Una cosa strana è però accaduta durante le belle ore che ho passato in compagnia di Kim Gordon e della sua autobiografia, Girl in a band (Minimum Fax, 306 pagine, traduzione di Tiziana Lo Porto): non sono riuscita a leggere una singola parola senza accompagnarmi con gli album dei Sonic Youth.

Credo che la loro produzione musicale non possa essere separata dalle loro personalità, dai loro stili di vita e il loro rapportarsi con il mondo dell’arte e mi sono resa conto che nella loro discografia c’è molta più Kim Gordon di quanto si possa pensare.

Per decenni la Gordon è stata solo la componente femminile di un gruppo rock, alla quale venivano rivolte domande ovvie e che raramente superavano il confine della descrizione di come fosse essere una donna all’interno di una scena ancora prevalentemente dominata da uomini. Girl in a band è quindi la sua risposta definitiva ad anni di ignoranza mediatica.

L’autobiografia è densa dei nomi più illustri del panorama musicale e artistico degli ultimi trent’anni; laddove c’era (e c’è) avanguardia, c’è Kim; i suoi rapporti con il mondo intellettuale da sempre testimoniano la sua sensibilità nei confronti di temi fondamentali e, soprattutto, sottolineano l’influenza della sua personalità in ambito internazionale. Quando il fenomeno del punk femminile ha cominciato a prendere piede sulla scena, lei era lì, in prima linea, con tutte le altre, e più delle altre ha saputo dare voce alle donne che non riuscivano (o non avevano bisogno) di riconoscersi necessariamente in icone più “estreme”, costruite sull’ostentazione di comportamenti liberatori. La sua battaglia femminista è da considerarsi la più autentica. Kim, fin dai suoi primi anni di vita è messa in contrapposizione con la figura maschile (il rapporto con suo fratello maggiore Keller è ampiamente raccontato in Girl in a Band), lotta per affermare la sua personalità e con essa le sue idee circa il mondo. Cresciuta nella California borghese, viene attratta per osmosi dalla caoticità e dalle possibilità artistiche che la New York dei primi anni ottanta riusciva ancora ad offrire. Così incontra Thurston Moore, altro pilastro fondamentale nella formazione della Gordon così come la conosciamo oggi, compagno sul palco e nella vita; con Thurston fonda una delle rock-band più importanti e trascendentali di sempre. Ancora oggi i Sonic Youth reincarnano, più di altre band, gli ideali di libertà e ribellione.

Nel raccontarsi, Kim Gordon mette in risalto la normalità del suo essere moglie e madre e la straordinarietà delle sensazioni che prova quando si esibisce, restituendo a chi legge un’immagine semplice e pura della sua quotidianità. Allo stesso tempo descrive le sensazioni di malinconia e dolore che hanno accompagnato gli ultimi anni della sua vita con Thurston Moore e il disfacimento (solo fisico ma non ideale) dei Sonic Youth. E da qui Kim Gordon ricomincia la sua lotta personale. Emblematica la descrizione che fornisce alla fine di Girl in a Band sulla sua esibizione al Rock and Roll Hall of Fame del 2014 Induction Ceremony, durante la quale, insieme ai Nirvana, reinterpretando “Aneurysm”, riesce a riappropriarsi finalmente di una straordinaria forza (a Kurt Cobain dedica pagine intense, perché intenso è stato il loro rapporto di amicizia).

“Ho cantato “Aneurysm”, con il suo ritornello, “Beat me out of me”, mettendoci dentro tutta la rabbia e il dolore degli ultimi anni – un’esplosione, quattro minuti di sofferenza.”

Questa biografia, primo esperimento letterario della Gordon, può essere considerato come il manifesto definitivo del suo carattere, mette a tacere chi, nel corso degli anni, ha avuto da ridire sul suo ruolo nei Sonic Youth e su quello di Kim Gordon come artista visiva, restituendo alla pubblica opinione un tracciato limpido ed essenziale delle esperienze che hanno portato una delle più importanti personalità femminili dei nostri tempi al successo. Ricomincia così il suo percorso in solitaria verso nuove sfide personali e professionali. Noi, ex-adolescenti anni 90′, non aspettiamo altro che vederla risorgere più punk che mai.

Kim Gordon, Girl in a band, Minimum Fax, 306 pp., euro 18

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