Docherty

temTEMPERAMENTE - Fa freddo, è inverno e in High Street Jenny sta penando, come al solito, per far venire alla luce l’ultimo Docherty. Un maschietto, il cui nome sarà Cornelius, come il vecchio nonno, nasce intorno alla mezzanotte. «Un nome terribilmente impegnativo, per un omettino così piccolo» commenta il dottore, ma Tam Docherty sa come mettere a posto chiunque con poche parole: «Ci farà l’abitudine. Non si preoccupi.»

 

I piani del padre sono enormi per l’ultimo arrivato, destinandolo, nelle intenzioni, a una carriera lontano dalla miniera.
E così William McIlvanney ci inganna piacevolmente con questo prologo propiziatorio: la nascita di Conn salutata come un grande evento, che fa intendere che il piccolo sarebbe stato il protagonista del romanzo, mentre invece ne è uno dei tanti attori; ma ci porta dritti nel luogo topico di tutte le 393 pagine del romanzo: la casa dei Docherty.


Una casa in cui si ritorna e da cui si parte, una casa a cui restano legati i figli anche dopo il matrimonio e la guerra, una casa in cui si vive la familiarità come collante della propria vita. Poche stanze, tizzoni nel camino, cesta della biancheria e ferro da stiro sempre in mezzo, che tra uomini e miniera è ben comprensibile, mani e cuore enormi: questo è quello che si trova in High Street.
Siamo in Scozia, agli inizi del ‘900 e la vita non è certo facile per i minatori. Gli scellini per una bevuta al pub e una ballata ai matrimoni sono il massimo delle distrazioni. I ragazzi hanno il destino segnato, le donne pure: miniera per uno, casa e figli per l’altra. Neanche la fortuna o il caso possono salvarli da questi destini: può andarti più o meno peggio, amare tua moglie e non picchiarla, avere dei figli sani e non troppo stupidi, ma perlopiù se nasci lì, la tua vita prevedibilmente non avrà delle significative svolte.

Conn lo sa e lo capisce subito, ma non prende questa inscrizione in un destino già segnato come qualcosa di negativo: Conn, la creatura più intelligente, sensibile e atipica di tutta la gente di High Street, vuole appartenere a loro. Non vuole continuare gli studi, non gli interessa crescere in nessun senso: lui vuole essere come suo padre e come tutti gli altri. Vuole andare in miniera e condurre la vita che la sorte ha già deciso per lui. Non accetta il sogno del padre, di vederlo come un uomo istruito e che fa un lavoro migliore, neanche quando capisce che è solo un sogno: Conn è parte di quella gente e tale vuole restare.

Erano legati così strettamente gli uni agli altri che bastava che uno se ne andasse per condizionare tutti i rapporti. Significava che lui, o lei, elevava non solo la percezione che gli altri avevano di lui, o di lei, ma anche la consapevolezza che ognuno aveva di tutti.

Questo era prima della mossa di Angus, il figlio mezzano dei Docherty, diametralmente opposto a Conn, quello che dichiara apertamente:«Io non gioco nella sua squadra». Sì, in High Street c’è chi prova a ribellarsi. Ma visto che la via della ribellione vera non è possibile, l’unica scelta per cui vuole migliorare la qualità della propria vita è quello di tradire se stessi, le proprie origini e la comunità di riferimento: è così che Angus diventa un capetto, fonda la sua squadra e guadagna più soldi, sfruttando a sua volta altri poveri disgraziati. Angus si vende, diventa un crumiro politico, causando la spaccatura nella famiglia e predicendo l’avvento di nuovi peggiori mali – l’arrivismo, la piccola borghesia, la guerra dei poveri contro i poveri, la fine della solidarietà sociale e l’addio alla coscienza di classe... scegliete voi.

Anche se McIlvanney non le ha mai descritte, riesco a vederle bene le mani di Tam Docherty, quelle con cui picchiava i farabutti e con cui lavorava ingobbito dalla fatica. Sono mani grandi, pesanti, rovinate, mani che aiutano e mani che scavano veloci, mani chiuse a pugno. Tam è un piccolo grande uomo, a detta di tutti: era quello che metteva fine a stupide bagarre e che cominciava le liti giuste, quello che sapeva sempre cosa dire e cosa fare, quello con la capacità di guardare oltre, quello che sapeva perfettamente a cosa credere e che aspettava da un momento all’altro la rivoluzione, il cambiamento, l’inversione di rotta. Completamente ateo, la sua fede politica è assolutamente incrollabile. Non si arrende davanti a niente, anche quando il peso della realtà lo schiaccia e resterà sempre convinto, come dimostra la terribile immagine con cui esce di scena, metafora di un’utopia politica storicamente tramontata.

Non so che fine abbiano fatto gli uomini come Tam Docherty. Sono stati schiacciati definitivamente da una politica che non li ha mai considerati, da una società per cui sono diventati invisibili, da lobby industriali che li hanno spremuti infischiandosene completamente dei loro diritti? Probabilmente e tristemente, sì. Una piccola parte di loro – un’idea – vive ancora in uomini come quelli che formano case editrici combattenti come Pagina Uno, che ha tradotto e importato questo romanzo, pubblicato già nel ’75 in Scozia. Ne avevamo già parlato diffusamente in un’intervista con l’editore, ma credo che questa frase di Mick sia esplicita come poche altre sul senso della scelta di questa pubblicazione:

Succede che la gente non sa cosa sta succedendo. Si accontenta di avere un salario e non riesce ad accettare che dovrà subirne di tutti i colori. Per avere quello che vuoi, devi prendere anche quello che non ti piace. Tutto qui.

Mentre leggevo Docherty, non facevo altro che pensare a Ken Loach. Ai suoi film duri, intensi, eppure così ricchi di poesia e luce. La prosa di McIlvanney stupisce per la sua dolce grazia. In un posto scuro e sporco come High Street, la sua narrazione è capace di librarsi km al di sopra di tutto con una leggerezza impressionante. È la forza di Jenny, pilastro della famiglia Docherty e grande amore di Tam, è la purezza di Conn, è il fervore di Mick, il peso di Angus e le giovani rughe di Kathleen.
È tutto questo e molto di più; e lo puoi leggere solo nelle pieghe della realtà, nella verità di quello che si nasconde allo sguardo comune, nonostante sia ben fermo davanti agli occhi, tutti i giorni, ma che solo alcuni vedono e combattono.

William McIlvanney, Docherty, Edizioni Pagina Uno, €16, 2014

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