Privacy

temperamenteTemperamente -  Nel 1955, a seguito di alcune vicissitudini personali, William Faulkner pubblicava un pamphlet dal titolo Privacy. Il sogno americano: che ne è stato? Al centro dell’invettiva di Faulkner si situa il fantasma della libertà, individuale prima e collettiva poi, quale esito di una società viepiù timorosa e sospettosa e, perciò stesso, politicamente e socialmente tesa al voyeurismo e al controllo.

Ed ecco che, un meccanismo inizialmente difensivo, si trasforma per suo stesso esercizio in uno strumento offensivo. «Ve lo chiedo per favore, non fatelo» furono infatti le parole rivolte dallo scrittore a un gruppo di giornalisti che diedero in pasto all’America le sue vicende personali e sentimentali. La posizione di Faulkner è, a questo proposito, molto chiara: «Finché non commetto un delitto o non annuncio la mia candidatura a qualche elezione, non potete invadere la mia vita privata dopo che vi ho chiesto di non farlo». Nondimeno, mette in guardia lo scrittore, pare che l’obiettivo finale delle attuali società sia quello di formare e manipolare un’anonima massa senza più privacy e, perciò stesso, senza identità. A proposito dell’anonimato, va chiarito che c’è anonimato e anonimato, e che, combattendo per la sua privacy, Faulkner ambiva a conservare una certa dose di anonimato “sano”. Come scrisse in una lettera del 1948, infatti, egli lottava con le unghie e con i denti per realizzare la sua ambizione di tutta una vita, e cioè essere «l’ultimo individuo privato sulla Terra». Primato che auspicava di conseguire con successo in quanto «apparentemente non c’è concorrenza per il posto». Un’affermazione certamente forgiata nell’ironia, ma che si accompagna a un sinistro monito: «Presto la privacy sarà davvero scomparsa e chi sarà abbastanza individuo da esigerla anche soltanto per cambiarsi la camicia o per fare il bagno, verrà bollato da un’unica universale voce come sovversivo del sistema di vita americano».

 

Non una semplice critica del sogno americano, dunque, ma un saggio sull’incubo americano: siamo negli anni Cinquanta e, come scriverà di lì a poco anche Bernard Malamud nel suo romanzo Una nuova vita, «Il paese era diventato, nella paura e nelle autoaccuse, una nazione di spie e di comunisti. Il senatore McCarthy stringeva nel suo pugno peloso il nome di ciascuno. L’America era, nel senso migliore di una brutta parola, antiamericana».

Ora, se la domanda fondamentale di Faulkner ruota attorno all’evaporazione della privacy, si potrà facilmente ravvisare l’attualità del suo messaggio. Ai giorni nostri la comunicazione avviene in larga misura attraverso il web, e molti internauti, come è noto, traggono godimento dal vedere e dall’essere visti. Un piacere, questo, come ha scritto ad esempio Davide Ferrante, derivante dall’avere un “audience”, un indice di gradimento all’interno dei social network. Ma forse, a nostro avviso, più che di “audience”, sarebbe opportuno parlare di “share”, in quanto espressione polisemica: se lo share è l’indice di ascolto televisivo, il verbo inglese to share (“dividere”, “condividere”) ha originato le espressioni di “file sharing” e di “video sharing”, che in campo informatico designano la condivisione e lo scambio di file audio e video. Ma si badi bene: l’ultima frontiera della galassia socio-informatica, per tornare al nostro discorso, non è stata raggiunta dalla mera condivisione di file, bensì dalla condivisione della propria stessa privacyVale a dire che oggi, come ha rilevato il filosofo e psicanalista Slavoj Žižek, amiamo a tal punto avere uno share, e temiamo a tal punto di non essere guardati, che ci spiamo a vicenda gli uni con gli altri, dando luogo a quella paradossale “shared-privacy”, la cosiddetta “privacy condivisa”.

Per concludere, se oggi non siamo più proprietari neanche della nostra stessa privacy, sarà allora bene recuperare le parole di Faulkner, per il quale «la privacy è un bene prezioso, da salvaguardare, perché consente all’artista, allo scienziato e all’umanista di funzionare e a tutto il genere umano di vivere e respirare»

William Faulkner, Privacy. Il sogno americano: che ne è stato?, Adelphi, Piccola Biblioteca, Milano 2003, 93 pp.

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