Diario di una maratoneta: Mariantonietta Amatulli racconta la sua gara a Roma

03 25 romaNOCI (Bari) - Domenica 22 Marzo, Mariantonietta Amatulli, unica presenza femminile in un nutrito gruppo di atleti nocesi dell'ASD Montedoro, ha corso la mitica maratona di Roma, obiettivo di tutti i runners. Pubblichiamo di seguito il suo personale diario della gara, per rivivere con lei tutte le emozioni di un giorno speciale.



Roma, 22 Marzo 2015 
Il countdown è iniziato da tempo. Una maratona non si improvvisa! Così mi ripetevano gli amici ma il mio era ormai un sogno nel cassetto, diventare maratoneta a Roma. Nella Roma Capitale, in quella Roma che fa sognare.
Dopo duri allenamenti il giorno tanto atteso è arrivato. Poche ore di sonno, l’ansia è a mille, sono in piedi all’alba con il mio numero ben sistemato sul petto.C’è scritto 3000 e sotto Mariantonietta.
Fuori piove, che sfiga ho pensato, odio correre sotto la pioggia ma cosa dovrei fare altrimenti? Non sarà certo il meteo a fermarmi.
Scarpe ai piedi ed entro in metro, c’è un fiume di gente, tutti con lo stesso zainetto in spalla. Direzione? Il Colosseo ovviamente.
Ma quanta gente ci sarà? C’è chi dice 15000, chi 18000, c’è gente di tutte le nazioni, religioni, uomini e donne, tutti lì accumunati da una sola cosa la passione per la strada.
Sono in fila per entrare nelle gabbie di partenza, il freddo si fa sentire e la pioggia è battente, qualcuno indossa il kiwi,qualcun altro buste di fortuna, siamo tutti coperti e per un attimo ho pensato agli attacchi dell’ISIS, la paura si fa sentire. Se ci fosse stato un folle, nessuno lo avrebbe riconosciuto e potuto fermare. Subito mi faccio passare strani pensieri, ancora qualche minuto di preparazione e ci siamo, tra poco si parte.
START!. Sono sola, non vedo più il mio amico Mario, mi faccio il segno della croce e via. Nella testa i consigli degli amici, non consumare tutto subito, la gara inizia al muro del 30 e 36 chilometro. Al decimo mi scontro con un uomo di mezza età, alto, con la barba. Abbiamo lo stesso passo e all’improvviso in silenzio mi ritrovo a correre al suo fianco, uno accanto all’altro. Al ventesimo le prime parole, si chiama Giuseppe e che abita in un paesino vicino al mio. Quanto è piccolo il mondo ho pensato. Mi fa da mentore e mi consola non sentirmi sola. Dal capellino sgocciola acqua, splash! Le scarpe sono piene d’acqua, i piedi freddi e pesanti ma la maestosità dei monumenti mi manda in estasi, mi sento carica, l’adrenalina è ormai a mille. Penso alla sindrome di Stendhal. Sto marciando Roma, su un pezzo di storia, ancora non riesco a crederci. Vado. Al ventottesimo Giuseppe rallenta, ha un dolore alla coscia. Sono dispiaciuta di lasciarlo ma il mio ego dice che devo proseguire. La gara inizia al trentesimo, sono a più della metà e non posso mollare proprio ora. Aumento il ritmo, l’obiettivo è chiudere nelle tre ore, i sanpietrini si fanno sentire, i piedi iniziano a farmi male. Al trentottesimo la gente per strada incita, applaude, grida…Inizio a realizzare che sto per realizzare il mio sogno. Mi scappano le prime lacrime che mi interrompono il respiro. Ma ci sarà tempo per piangere e questo non è ancora il momento. Asciugo gli occhi alla maglietta e allungo ancora un po’. Supero tanta gente ormai stanca, l’adrenalina continua a salire.
Alzo lo sguardo e all’orizzonte, come un miraggio, l’arco del traguardo. Ce l’ho fatta! Sono maratoneta a Roma.
Una ragazza mi mette la medaglia al collo e un’altra mi consegna un telo per il freddo. Ora posso anche scoppiare a piangere. Qualche minuto a riscaldarmi veramente sarà la voce della mia famiglia e dei miei amici più cari che si congratulano. A chi me mi ha chiesto perché lo fai oggi rispondo che non sono le gambe a correre ma la testa e che le esperienze più dure sono quelle che regalano le emozioni più grandi. (In foto: Mariantonietta Amatulli all'arrivo della maratona di Roma)

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