"A rose sòtt'o cuappide "di Mario Gabriele: dove il popolare incontra l'erudito

05 09 mariogabrielearosesottocuappide1NOCI (Bari) – "Più mi sforzo di studiarlo e più mi accorgo che per scoprire quanto esso contiene è necessaria una cultura molto vasta." Sono state queste le parole pronunciate dallo scrittore Mario Gabriele, aprendo l'evento organizzato dal Centro Studi sui dialetti Apulo-Baresi riferendosi al dialetto ed al suo ruolo sociale.

L'evento, svoltosi il 6 maggio presso il Chiostro delle Clarisse di Noci ha visto instaurarsi un fitto dialogo tra il pubblico curioso ed interessato a comprendere le straordinarie poesie del nocese Gabriele (comprese nel nuovo libro A rose sott'ò cuappid) e gli studiosi Francesco Galassi e Giovanni Laera. Il libro scritto da Gabriele composto da 20 poesie è espressione della sua ideologia. Lo scrittore ha difatti più volte ripetuto durante il corso della serata il suo credere fermamente nel dialetto come la lingua povera delle classi subalterne, che i piú erroneamente reputano volgare non conoscendo fino in fondo le sue radici provenienti dalla cultura greca e latina ma anche francese e araba.

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Durante la serata, la lettura delle poesie è stata affidata ad Antonio Natile e Fracesco Galassi e poi accompagnatoa dal suono rigenerante della chitarra suonata da Gianni Pinto.
Lo studioso Giovanni Laera ha definito questo libro come "un complesso di poesie erudite ma popolari, che possono stare a pari diritto con poesie della letteratura italiana e che avendo questo dualismo". Procedendo, poi, con l'analisi della poesia "Firre de cavadde" (che emblematicamente inizia con una sineddoche, la figura retorica che ci permette di esprimere la parte con il tutto), la quale esprime tutto quello che in apparenza è e può essere la violenza sugli animali, ma che nella realtà rappresenta tutte le violenze e le oppressioni che ai giorni d'oggi i lavoratori, in assenza di diritti, devono subire. La bravura dello scrittore è stata quella di scrivere questa poesia monoblocco senza pause, con frasi puramente nominali come un susseguirsi di fardelli che ogni lavoratore incessantemente trasporta nella propria giornata lavorativa: "u rspir fatt a chium", e con un andamento che riprende a grandi linee la galoppata "perdifiato" di un cavallo, una poetica, questa, pari a quella utilizzata da Montale nel suo più grande componimento "L'anguilla" dove l'andamento di questo animale nell'acqua è strettamente ripreso dal cadenzare dolce delle parole nella poesia.

Un' altra accurata indagine è stata fatta per A fezzatòre, A lucernédde, Carte de giornèle, Péte da fracére, tutte poesie scritte da Gabriele con l'obiettivo di riportare alla mente degli avvenimenti che sembrano essere leggenda ma che in realtà sono accaduti molto tempo fa nella nostra cittadina. Come la storia di Annuc che attende cieco ogni mattina l'arrivo del suo giornale, questa poesia diventa un importante punto di vista sul mondo dove ognuno di noi è proiettato su quello che è per sè il futuro, con una piccola annotazione fatta dallo scrittore "i ragazzi di oggi non hanno più la speranza, che contraddistingueva i ragazzi di un tempo".   La poesia diventa per Mario Gabriele un metodo per smettere di sognare, ma di essere sempre attento e sveglio sulla realtà, mentre il dialetto è quella pietra dura con la quale descrivere il mondo, che può far riscattare il volgo dal sua subalternità.

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