Vulpio e la fabbrica dei “metallizzati”

incontri-e-dibattiti-carlo-vulpio-conferenzaNOCI (Bari) - Non è stata la solita presentazione quella svoltasi venerdì scorso nella sala del Palazzo Lenti di via Porta Nuova. Si capiva infatti sin da subito che quella serata aveva l'intenzione di scoprire gli altarini, di parlare di qualcosa che rimane ancora sottaciuto. Sinonimo di una verità scomoda che dà fastidio a più di qualcuno. "La città delle nuvole" è il viaggio tra i gas mortali che avvelenano Taranto. Tra l'apparente rassegnazione dei tarantini e il sentimento di rinascita per la voglia di tornare a respirare aria pulita.

Ad inizio serata il coordinatore cittadino Idv Giovanni Sansonetti, in sede di presentazione, ha fatto un salto nel proprio passato ricordando tante torri che sputavano fumo nero. "Ero piccolo e non capivo - dice - non capivo che l'Ilva era la città della morte". Con una riflessione sul testo ed una scena tratta dal film "Che cosa sono le nuvole" di Pasolini, si apre l'introduzione di Antonio Natile, che leggendo un passo del libro di Vulpio ricorda che "si può anche morire per la vita della fabbrica". Testimonianza shock quella di Vulpio. La stessa testimonianza che spinge a scrivere dalle colonne di via Solferini dei mali che attanagliano la città della Magna Grecia, e che per questo si viene accantonati. A Taranto ci sono 220 ciminiere. A Taranto ci sono migliaia di ammalati di cancro che respirano l'aria contaminata e satura di diossina. A Taranto i bambini si ammalano di leucemia. A Taranto il quartiere Tamburi è una "distesa rosa". Ma a Taranto vivono anche i metallizzati, ovvero i contadini prestati alla fabbrica che poi tornano a svolgere i lavori di campagna. Negli anni 60 l'Ilva era un'industria già sovradimensionata rispetto al reale fabbisogno e produceva diossina ed una quantità non meglio precisata di sostanze velenose che hanno a poco a poco hanno fatto ammalare aria e terra, acqua e uomini. Il tutto per illudere gli operai e la gente del grande sogno della metropoli industrializzata.


Ed oggi? Oggi la legge regionale ha cercato di porre un freno ma Vulpio attacca. "Passare da 7ng a 2,5ng è sicuramente cosa mirabile. Ma lo standard europeo non consente di emanare gas nocivi nell'aria al di sopra di 0,4ng. Quindi non credete a tutto quello che dice la Tv. A tre mesi dall'approvazione della legge regionale lo stesso consiglio ha modificato il testo non prevedendo la misurazione h24 dell'impianto, e la diluzione della diossina con l'ossigeno". Esiste un rimedio allora per uscire da questa situazione? Una possibile soluzione la offre lo stesso autore. "La riconversione della struttura ormai fatiscente e obsoleta in una azienda biotecnologica ad impatto ambientale zero". Perché alla fin fine ricorda Vulpio "se si lavora per vivere che senso ha andare a lavoro per morire".

 

Un momento dell'incontro

 

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(Nella foto A. Natile, C. Vulpio e G. Sansonetti)

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