Il posto dell'anima

02-20-recensione-posto-anima-di-jose-mottolaNOCI (Bari) - Molto interessante, il recente volume del sacerdote cattolico di Noci Nicola D’Onghia, Il concetto di anima tra neuroscienze e teologia, Roma, Lateran University Press, 2011, pp. 282, € 25,00. Base dottrinaria del libro è l’unità inscindibile di anima e corpo, spirito e materia, teorizzata da S. Tommaso d’Aquino:

teoria, tra l’altro, posta dal celebre endocrinologo pugliese Nicola Pende (1880-1970) a supporto della medicina costituzionalista, secondo cui la malattia è spia della rottura dell’equilibrio armonico della persona fatta di corpo e spirito, talché oggetto della terapia, più che l’organo malato, è l’intero sistema corporeo e spirituale (dalla concezione unitotale del Dottore Angelico, Pende estrasse anche la dottrina razziale “romana-italica”, di stampo biologico-culturale e perciò avversaria di quella ariano-tedesca, solo biologistica).

La prima parte del volume del giovane prete nocese descrive l’evoluzione storica dell’idea di anima (dal gr. ànemos, vento o soffio), mentre la seconda analizza l’evoluzione della ricerca neuro-scientifica moderna; il nocciolo del libro è nella terza parte, dedicata al dialogo tra teologia e neuroscienze. Questa disciplina scientifica, capace di “fotografare” i processi chimico-fisici di elaborazione psichica, individua la mente come fonte delle emozioni e della capacità dì astrazione logica, accantonando il concetto metafisico di anima e  sfidando così la teologia cristiana ancorata al concetto di anima come entità spirituale ma consustanziale al corpo umano. Come accadde  quando il geocentrismo fu affossato dall’eliocentrismo di Galileo e il creazionismo fu smontato dall’evoluzionismo di Darwin, oggi  vacillano pilastri della teologia cattolica, questa volta sotto l’incalzare delle neuroscienze che minano la nozione di anima come fonte della psiche. Ora come allora, la Chiesaromana corre ai ripari: dopo aver ammesso che la terra gira intorno al sole e - non ancora compiutamente - che l’uomo è frutto dell’evoluzione delle specie, essa prende atto dei processi neuronali come fonte delle energie psichiche. Ma lo sforzo (teo)logico è ingente: posto che il cervello umano è la forma più evoluta dei tanti cervelli animali, è difficile attribuirgli uno status ontologico speciale, tanto più – qui interviene la genetica, altro campo minato per i teologi – che il patrimonio genetico di uno scimpanzè corrisponde al 99% a quello umano.

Allora, quale la soluzione dell’autore del libro? Semplice: egli, alla luce del paradigma unitotale di S. Tommaso applicato al concetto di mente, adotta il “principio di complessità” inserendovi una categoria a priori: è vero che la rete neuronale governa l’elaborazione psichica – dice l’autore -, ma in un contesto complesso postulante l’esistenza di un “Io narrante”, espressione di Dio in quanto “definisce l’uomo in profondità, la sua parte spirituale, che teologicamente e metafisicamente è chiamato anima”, sicché le “neuroscienze offrono esiti sempre più completi a livello delle cause fisico-chimiche” e “possono descriverci il livello base del funzionamento del cervello, ma non il livello profondo dell’anima e di tutte le facoltà come la memoria, i sentimenti ecc.“ (pag. 213). Qui, il ragionamento dell’autore si infila in un cul-de-sac, quasi adombrando l’immagine di un’anima aleggiante in profondità  tra sinapsi  e neuroni:  boutade a parte,  appare logicamente  insostenibile la collocazione nella sfera del trascendente di facoltà intellettive come la memoria, la cui struttura biochimica  è stata scandagliata giustappunto dalle neuroscienze. Certo, è una ricostruzione suggestiva, comunque ben più raffinata di quella del Pende che, citando Tommaso d’Aquino, imputò apparizioni di defunti e Resurrezione a processi di disgregazione molecolare (morte) e ricomposizione molecolare per ordine divino (resurrezione).

Orbene, l’evocazione da parte del sacerdote D’Onghia dell’ “Io narrante” trascendente e identificato con l’anima  in  un livello più profondo di quello superficiale  neuronale, è un  puro atto di fede: rispettabile espressione del sentimento religioso rispondente al bisogno di Infinito insito nell’essere umano, l’unico consapevole di sé e della propria finitezza. Un atto di fede, dunque. E allora, che c’entra con la scienza? Il punto nodale  del libro è proprio lo sforzo teologico di sovrapporre la fede alla scienza, sempre sotto l’egida del Dottore Angelico. Questo ordine di idee è in linea col magistero ratzingeriano, negante l’autonomia reale della scienza rispetto alla religione, nonché della morale rispetto alla religione: peraltro, la condanna papale del relativismo etico segna l’ennesimo tentativo di ridurre il peccato a reato, ad onta delle aperture del Concilio Vaticano II. E mentre le neuroscienze svelano le basi bio-chimico-fisiche dell’attività cerebrale, la Chiesa gerarchica ripropone uno schema totalitario di legittimazione religiosa della scienza, anziché riconoscere una volta per tutte che scienza e fede sono sfere entrambe autonome.  

Il giovane esperto di teologia D’Onghia, dunque, si è rivelato lucido interprete  dell’ortodossia ratzingeriana con un’opera ben articolata anche sotto il profilo bibliografico, che esprime pure una fondata critica dello scientismo, condivisibile da una genuina ragion laica. Infatti, con una visione  totalizzante di diverso segno e riconducente il mondo anche intellettuale a categorie interpretative esclusive delle “scienze esatte”, il riduzionismo scientista non dà conto degli aspetti morali ed emotivi dell’agire umano, talora ostentando supponenza antipatica: è il caso di certo ateismo dogmatico – alla Piergiorgi Odifreddi -, che disprezza il sentimento religioso come irrazionalità e superstizione pura, anziché riconoscerne le radici nella comprensibile proiezione della psiche umana verso l’Infinito.  (Articolo pubblicato sul settimanale www.ilsudest.it )                                                                                                                               

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