Felice Laforgia: un doveroso pensiero

03-26-felice-laforgiaLETTERE AL GIORNALE - Alle testimonianze dei sindaci nocesi che hanno accolto l'invito di Noci24.it di raccontare la figura di Felice Laforgia si aggiunge anche il contributo del sig. Cenzo Bruno, che oggi ospitiamo.

 


 

Conosciuto da molti come uomo politico, in misura minore come uomo impegnato nel sociale e nella Chiesa, Felice Laforgia ha rappresentato un punto di riferimento costante per alcune generazioni.      Non si può comprendere la sua figura se i tre  ambiti di  impegno  testé  richiamati ( religioso, sociale e politico ) vengono valutati separatamente, avulsi dal rapporto Fede, Cultura, Politica la cui sintesi per un cristiano è sempre nel segno della Croce. Il suo cammino di vita, è stato consumato in quella “ coerenza cristiana” che aggiunge tensione e direttiva di pensiero a quella problematicità che straripa da un semplice segno distintivo.

Avvertivo, quando dialogavamo su temi di interesse generale, che il suo essere religioso sorreggeva il suo essere uomo. Considerando gli anni successivi alla guerra fa parte di quella schiera di laici ( Donato D’Aprile, Diego Gentile, Giambattista Intini, Pietro Bruno solo per citarne alcuni ) che aderendo costantemente al Magistero  della Chiesa  hanno guardato al mondo nocese non come ad una zona neutra ma alla suggestiva occasione per dare completezza al loro essere cattolici, trattando le cose temporali secondo la connotazione specifica di una virtuosa laicità.

E’ indubbio che l’impegno secolare di Felice ha concorso a determinare a Noci un migliore ordine sociale, ad alleviarne i molteplici disagi, a dare risposte alle nuove domande. Con la sua morte scompare, insieme a Vito Notarnicola e Leonardo Morea, l’ultimo cavallo di razza che il mondo politico locale abbia conosciuto. Uomo intelligente, di vasta cultura, dotato di una memoria non comune, pronto all’ira, è stato un uomo delle Istituzioni. Il suo linguaggio era raffinato, pulito; non amava le semplificazioni analitiche, la leggerezza del pensiero: concordavamo sulla crescente separazione della cultura dalla politica ed al manifestarsi sempre più di una azione senza respiro. Affascinato dai gesuiti per il modo di trattare i problemi sociali e politici, trovò in Aldo Moro la linfa, l’ispirazione per il suo agire politico. Dallo statista pugliese acquisì la concezione della politica senza pretese totalizzanti, prestando la dovuta attenzione alla sua funzione di direzione di una società in movimento. Anche se non si condividevano a volte le sue analisi non si poteva non apprezzare la sua forza di persuasione: ho sempre avuto la sensazione che albergasse in Lui il gusto di spiazzare dialetticamente l’avversario del momento. Non è stato soltanto l’uomo di cultura, delle originali intuizioni o un teorizzatore degli avvenimenti presenti e futuri, ma anche l’uomo dei “fatti”. Rammento il clima politico all’interno della D.C. all’indomani delle elezioni amministrative che espressero la sua prima elezioni a sindaco di Noci: si era fatta strada l’idea che per il suo modo di concepire la politica nella sua azione concreta, prive delle necessarie mediazioni, non fosse la persona adatta a ricoprire quella carica istituzionale, che consisteva nel cimentarsi con il quotidiano, nel governare i problemi, e nel possedere la “pazienza istituzionale” nel richiedere continuamente la collaborazione di tutti. Niente di più sbagliato. Uomo di potere  perché di governo, capì i limiti del nostro sistema politico e si servì dei rapporti politici che tesseva continuamente per prefigurare, attraverso il giuoco politico, scenari nuovi. La sua uscita dalla Democrazia Cristiana, con la fondazione del Movimento Politico dei Cristiani Progressisti coincise con la teorizzazione del primato dei programmi sulle formule politiche: l’allargamento delle basi municipali con l’entrata nella maggioranza politica ma non di governo del P.C.I. nocese accompagnata da una serrata critica al “potere democristiano”, fu, a parer mio, la vera fase caratterizzante il pensiero, l’azione, di Felice Laforgia. Per il panorama politico nocese,soprattutto per il movimento cattolico, una stagione irripetibile, un momento creativo invidiabile, un modo di vivere la politica sopra le righe. Divenne un vero carisma politico locale, un referente dotato di forza attrattiva  in una comunità sempre più complessa. Certo, c’è la difficoltà a storicizzare questi processi politici e di quanto hanno influenzato le fasi successive ma, è certo, che i riferimenti culturali presenti, anche se diversi, furono composti, con il concorso di tutti, in un disegno di rinvigorimento delle basi municipali della nostra cittadina, rafforzandone la democrazia stessa. Sono fermamente convinto che per cogliere l’opera dei più influenti leaders degli anni ’70 e ’80 a Noci è indispensabile approfondire il funzionamento delle classi politiche e porle in rapporto all’evoluzione o meno della nostra democrazia e di una municipalità che oggi mostra tutti i limiti, financo all’adesione a comuni regole del gioco, rilevando fortezze personali prive di respiro politico. Nel volgere la mia mente indietro nel tempo, mi accorgo quanto ricca sia stata la vicenda politica della nostra cittadina e, purtroppo, pur oppresso da una dilagante carica emotiva, mi rendo conto di quanta materia di approfondimento riemerge alla nostra coscienza. Felice Laforgia è stato rispettato dai suoi amici e avversari e questo evidenzia che aveva seminato idee e comportamenti nel proprio campo e in quello altrui. Lezione rara, legata a molti fattori, patrimonio della nostra comunità: un lascito che è bene approfondire compiutamente.

                                                                                                                Cenzo Bruno

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