Quello che sembrava un giorno qualunque...

06 24 disoccupazione giovanileStamattina quando ho aperto gli occhi ho pensato che questo sarebbe stato un giorno come un altro. Ho visto l'ora e come al solito mi sono subito accorta di essere in ritardo. Così, sempre come al solito, sono saltata giù dal letto e ho iniziato a prepararmi indossando i primi vestiti che ho trovato nel mio armadio sempre in disordine. Volevo essere puntuale e per questo ho deciso di saltare la tappa al bar e ho rinunciato al mio caffè mattutino, pensando che una volta entrata in ufficio il mio collega, come di routine, mi avrebbe chiesto di fargli compagnia per la sua colazione.
In macchina alla radio risuonava il tormentone dell'estate e tra me e me ho pensato: "Un po' di carica prima del lavoro ci vuole". Ho iniziato a canticchiare, sempre pensando che questo, infondo, niente sarebbe stato se non un giorno come un altro.

Appena entrata in ufficio, miracolosamente puntuale, mi sono accorta che c'era qualcosa di diverso. Il mio capo era chiuso nella sua stanza e si dimenava tra carte e calcolatrice, il mio collega "vicino di banco" non era lì ad aspettarmi con il suo sorriso di buongiorno e il suo invito per il primo caffè della giornata e le altre erano tutte in piedi ad aspettare qualcosa. "Paolo ci ha convocato tutti per una riunione straordinaria". Ecco che improvvisamente la mia giornata non era scandita dalla sua solita, ma rassicurante routine.
Siamo entrati e abbiamo preso posto tutti intorno a lui, in attesa trepidante di una sua prima parola. Dopo complimenti vari sul lavoro svolto in questo ultimo periodo, dopo aver fatto il piano dei prossimi lavori, improvvisamente Paolo mi riporta alla realtà pronunciando il mio nome.
Ho iniziato a lavorare in questa azienda poco più di un anno fa, dopo circa 8 mesi di assidua ricerca alternando momenti di rassegnazione ad altri di illusoria speranza. Ho convinto i miei genitori a fidarsi di me, e così quasi un anno e mezzo fa era arrivata la mia prima soddisfazione. Quel "le faremo sapere" si era trasformato in un "abbiamo scelto lei". Ero felice e soddisfatta, non avevo mollato davanti a tante porte in faccia e anche per me era arrivata un po' di stabilità.

Di certo questa mattina, quando ho guardato l'orologio, non mi sarei mai aspettata che questo sarebbe potuto diventare uno dei miei ultimi giorni di lavoro.
I conti non tornavano più e pare che io sia diventata un "costo eccessivo" per l'azienda. Quella con meno esperienza spesso è anche quella che va sacrificata per prima.
Certo sarebbe stato più semplice per me se avessi potuto arrabbiarmi con qualcuno. Quando le cose non procedono per il verso giusto avere la possibilità di attribuire le responsabilità di tutto a qualcuno, sebbene non serva a sistemare le cose, però per lo meno aiuta a sfogarsi e a dire a se stessi che infondo noi ce l'abbiamo messa tutta.
Il primo giorno che sono entrata in quell'azienda mi sembrava un sogno: stavo lavorando esattamente nel posto in cui volevo e nel ruolo che ho sempre sognato di ricoprire. Mi sono sentita a tratti fortunata. Ma si sa, la fortuna arriva con la stessa velocità con la quale sa andare via.
Già le sento risuonare nelle mie orecchie le parole che per mesi hanno scandito le mie giornate: "È un periodo difficile per cercar lavoro", "le proponiamo un stage formativo non rinnovabile", "cerchiamo qualcuno con più esperienza". Questa è la frase che più mi fa sorridere: capisco che ognuno pensi al proprio rendiconto e alla buona riuscita del lavoro, ma questa storia dell'esperienza sembra essere diventata una barzelletta. Tutti cercano esperienza e nessuno sembra disposto a lasciartela fare questa esperienza. È vero a volte anche noi ragazzi rifiutiamo posti di lavoro perché ci propongono stipendi bassi, e a volte siamo inconsapevoli che per poter puntare in alto bisogna partire dal basso e farsi strada in quella tanto famosa "gavetta".
Mi rendo conto che spesso dimentichiamo molte cose, ma allo stesso tempo mi sento di far parte di quelle persone che non hanno paura di rimboccarsi le maniche e stringere i denti. Se solo qualcuno mi permettesse di farlo però.
La ricerca del lavoro è una cosa davvero difficile: curricula inviati in tutto il Paese, colloqui che iniziano assumendo le sembianze di veri e propri interrogatori e che spesso terminano con un "le faremo sapere", telefoni che non squillano quando vorremmo, e nella peggiore delle ipotesi arriviamo al punto di mettere in discussione le nostre scelte, le capacità che abbiamo maturato nel corso degli studi.

Oggi sono stata licenziata perché il mio lavoro era considerato un costo eccessivo. Non ho tempo per abbattermi. Non ho tempo per ricominciare con l'autocommiserazione. Non ho tempo per pensare che forse ero io a non andar bene. Non ho tempo perché oggi devo ricominciare a cercare un lavoro. Purtroppo il mondo non si cambia nonostante le nuove leggi agevolino i giovani lavoratori, ma il lavoro non bussa alla porta di casa e prima di rendere credibili le mie capacità agli occhi degli altri, devo farlo con me stessa. Oggi voglio (o forse devo) pensare che una porta in faccia non significa che il problema sono IO, oggi devo (e soprattutto voglio) dare una possibilità a me stessa. Ai miei sogni.

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