Haiku e sakè. In viaggio con Santōka

temTEMPERAMENTE - Susanna Tartaro è giornalista radiofonica, lavora nella redazione Radio3 per cui cura Fahrenheit, ma è soprattutto appassionata di haiku, come rivela il suo blog DailyHaiku. Santōka è il suo mentore ideale e il suo compagno di viaggio, letterario e non: una presenza leggera e densa, un fagotto umano fragile e fortissimo, come si copre in questo libretto che gli ha dedicato e uscito in autuno per la collana “Incendi” di add editore.

Uno strano maestro, a ben guardare, s’è scelta Susanna Tartaro per i suoi vagobandaggi metaletterari. Santōka è un monaco buddhista che ha vissuto mendicando, ubriacandosi, poetando. La sua vita è stata sfortunata e non ha mai ricevuto adeguati riconoscimenti per i suoi scritti: scampato all’aborto, Santōka svolge diversi lavoretti, senza successo. Si sposa, anche, e ha pure un figlio, sprofondando nella depressione, poiché non riesce a mantenere la famiglia. Prova a suicidarsi e non riesce neanche in quello. Santōka capisce che la vita normalmente intesa, con responsabilità e ruoli inquadrati, non fa per lui. Diventa monaco, inizia a girare mendicando, scrive haiku.

Seduto solo
in silenzio, sotto la zanzariera,
mangiando il mio riso.

***

Guardando la luna
calare
io solo.

***

Ubriaco
dormo
con i grilli.

La solitudine connota i suoi scritti. Una solitudine fatta non di contrapposizioni, non è un solo contro gli altri, ma è solo con gli altri. Mi spiego: come monaco che vive di elemosina Santōka ha incontrato e conosciuto moltissima gente e visitato molti luoghi. Non era certamente uno scontroso burbero, si concedeva le sue bevute e uscite in allegra compagnia, ma la sua vita era segnata dai suoi tabi (sandali di paglia) malandati per il suo costante passo. Santōka si smaterializza nel mondo, sublima le sue esperienze nei versi, si avvicina alla natura, intuendone il segreto. Il segreto degli haiku consta nel loro essere minuscoli e infiniti nello stesso tempo: come una vita umana, come un grillo. Poeta maledetto asiatico, Santōka visse agli inizi del ‘900 e oggi rivive sul motorino di Susanna Tartaro, che se lo porta in giro come fosse il suo spiritello portafortuna, tra le strade della capitale. Rivive soprattutto grazie alle sue parole e ai suoi versi, così carichi di umanità.

Susanna Tartaro porta in viaggio tanti altri haijin (poeti di haiku) con sé: dal celeberrimo Bashō, aShiki, Hakyo, fino a farmi scoprire quelle pochissime haijin donna (evviva!), come Momoko Kuroda, Chiyo-Jo. Perché anche noi occidentali apprezziamo – e talvolta capiamo – gli haiku? Perché «La bellezza di un haiku è nella sua icastica incisività. Breve, trasparente, illuminante, semplice, cosmico.»
Aneddoti, riflessioni e fotografie costellano il libriccino. Un viaggio tra Roma e il Giappone, tra est e ovest, tra una pagina e l’altra, tra fortuna e sfortuna: ognuno cerca il suo equilibrio. E c’è ci riesce posando le parole piano, su tre righe, secondo semplici regole, rincorrendo l’illuminazione – o un pasto, un tetto, un sorriso.

Non dirò di più, questo libro è un invito. A scoprirne di più, a bere una tazza di sakè, a parlare con degli amici, a guardare negli occhi gli altri, a fermarsi un attimo a pensare e respirare.

Acqua che scorre –
a nessuno in particolare
arrivederci.

Susanna Tartaro, Haiku e sakè, add editore, € 13, 2016

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