Bestiario fiorito

temTEMPERAMENTE - Antonio Lillo è poeta, editore, animatore culturale di quella cittadina incantata del sud che è Locorotondo. Il suo Bestiario fiorito è uscito nel 2016 e raccoglie le sue poesie per Pietre Vive editore, (qui, qui e qui ci sono un po’ delle loro pubblicazioni), scritte nel quinquennio 2010-2015. Vi rivelo un piccolo segreto: questa versione del Bestiario da me letta ha subito diversi rimaneggiamenti, così mi ha confidato il suo autore, che ha continuato ad aggiustarne versi e parole, alla continua ricerca della perfezione. Ho obiettato contro l’impossibilità e insensatezza dell’impresa e lui mi ha molto pacatamente replicato citandomi Ungaretti, che ha fatto all’incirca lo stesso con i suoi componimenti per tutta la vita e ora ci sono edizioni di pagine e pagine contenenti le diverse versioni.

La tensione che ho sentito nel suo Bestiario fiorito è forte, spesso incazzata, capace di usare parole forti per graffiarti e colpirti.
Questo è perché le poesie di Antonio Lillo sono pregne di realtà, dei fatti di tutti i giorni, dall’immigrazione alla mala politica all’invidioso del paese. E se non si può che essere incazzati per come va il mondo, non è da tutti saper trasformare la propria rabbia in vis lirica.
La rabbia di Lillo non è mediata dalle parole poetiche: esplode nei versi, la senti insieme al suo disprezzo, vivida; e credo sia questo il motivo per cui le sue poesie non perderanno freschezza, anche quando magari certi fatti di cronaca non saranno più in prima pagina.

NAUFRAGHI
Questo mare popolato di cadaveri dorme un sonno lungo e spezzettato.
Quando si risvegliano di rado i loro problemi migliorano.
Gli occhi annebbiati di sonno non mettono più a fuoco le voci.
Non cambiano visione mai né le certezze sognate.
Si affievoliscono piano come fa la notte nel mattino.
Non reclamano vendetta né salute.

L’ORGOGLIO
L’orgoglio è un sentimento di merda che sta dentro a gente di merda come uno stronzo troppo duro. Tirarlo fuori vi fa sanguinare il culo.

Quando hai in mano un libro di poesia quello che vuoi è lasciarti ispirare. Farti trascinare in un mondo di luce, in cui le immagini sono i versi e c’è una musica intonata a quello che vedi e che senti.

LO SCOGLIO
Sedere su uno scoglio, perso in mare attraversato dalle onde, dal passaggio dei gabbiani. Sentire il vento di burrasca avvicinarsi. E «Vento, portati via tutto! il dolore, l’insonnia e tutto quello che non dico!» A cosa serve esserci, se non riesco a muovermi? Solo ad osservare quelle nuvole in fondo il nero che incombe. Chi mi ascolta, e se mi ascolta chi altro parla la mia lingua? Mi restano soltanto i pesci.

Lillo recupera il dialetto, il curdonnese, la lingua della sua famiglia e che a fatica si parla ancora. Le sue poesie dialettali sono di quell’intenso in cui risuona tutta una terra: quella dei padri, indubbiamente, ma anche quella degli invidiosi, dei pazzi, dei vitelli e dei pettirossi. Bestie e persone, tutte parte della stessa “prole testarda”.

In alcune delle poesie di Antonio Lillo ho trovato una forma di riappacificazione, una volontà di. Come se il mondo fuori fosse brutto e continuasse ad andare nel verso sbagliato, ma ancora non fosse del tutto morta quella scintilla di bene, di bello, che può sollevare per un breve momento da ciò che c’è attorno. Ad esempio, ne La carezza si cerca di andare verso quella categoria di sfruttati che quasi tutti indistintamente più o meno odiano e di andarci incontro con dolcezza, con una carezza, appunto.
Che sia la poesia questa scintilla di bello? Io credo di sì.

LA POESIA CI SEPPELLIRÀ
La poesia non è morta resiste io dico avvinghiata ferocemente al quotidiano pane necessario in gesti piccoli significanti ispirazione espirazione traspirazione poi galleggiare come stronzi nel mare dell’Ilva.
La poesia va contro il tempo e non va più di moda ti chiede un attimo per sé come una vecchia fidanzata e tu non puoi più darglielo ho altro da fare le dici nuova carne da infettare il futuro è in mano nostra lo vedi.

Chiaramente, il poeta riflette su sé stesso e su quelli (più o meno) come lui: gli altri poeti, i letterati, gli scrittori, gli altri editori. E le parole che ha non sono dolci nei loro (suoi?) confronti: vengono chiamati “eunuchi” perché reclamano una cattedra nel mondo riciclando sistemi collaudati senza un briciolo d’idea, gente che scrive e pubblica “paccottiglia” e che ti fa passare la voglia di scrivere e di entrare nelle librerie, gente che non è altro che un parassita, poetico o non, e che non sa più «quanto di sincero v’era in loro, morti e già dimenticati persino nel respiro.»


Al ribrezzo per la propria razza di scrivente si accompagna il senso di distinzione dagli altri e l’impossibilità di esser compresi, valido per tutti. Un sentimento tipico di questo poeta e che ritroviamo in Bonsai:«Tagliare i rami secchi e farla finita con le illusioni. Una pianta da vaso non è meno felice di quella nel bosco: entrambe tendono al cielo e nessuna lo tocca. Siamo tutti sconfitti in partenza. E piangere o ridere non cambia la realtà delle cose. Quindi, perché non ridere? Perché il poco non mi basta e se non tocco il cielo non sono contento. O tutto o nulla. E se non posso avere tutto, allora non voglio nulla.»

L’insoddisfazione. Sentimento della prima maturità e comunissimo tra i meridionali. Ma queste poesie non sono solo lamenti, anzi: ciò che vi colgo è un bellissimo grido di sveglia, per tutti quelli che sono intorno, per tutti quelli che vivono a metà la propria vita, per tutti quelli che stanno solo a guardare o al massimo si limitano a dire:«Io sono vittima, come te, delle parole degli altri».
Siamo bestie, ma indossiamo fiori, pur non rendendocene conto.

Antonio Lillo, Bestiario fiorito, Pietre Vive, 2016, € 10

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