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Rocco Roberto e il suo ultimo libro “I sogni che restano”: l’intervista

12 9 roccorobertoisognicherestanoNOCI (Bari) –Ė stato pubblicato lo scorso 27 novembre l’ultimo libro dello scrittore nocese Rocco Roberto, che ha sin da subito incuriosito molti.

Rocco Roberto, docente di lingua e scrittore, è molto conosciuto tra i lettori di ogni età per la sua prima opera “Quando eri qui con me”, una storia appassionante e travolgente, che gli ha garantito il successo. 
Ė interessante considerarlo un Prof 2.0, come il famoso scrittore Alessandro D’Avenia, innamorato del mondo della scuola e dei ragazzi che la popolano e amante del potere delle parole. 

Nel suo ultimo romanzo “I sogni che restano “, Roberto ci parla di Sofia, una ragazza semplice e comune, che deve però fare i conti con la “perdita” di una persona a sé cara, Ludovica. Questo momento la segnerà per sempre. Sofia proverà a ricostruire il puzzle della sua vita facendo i conti con sé stessa e con il passato, ma non si “salverà” da sola.
Di seguito trovate l’intervista che l’autore ha rilasciato al nostro quotidiano.
12 9 roccorobertoisognicherestano1"Quando eri qui con me" e "I sogni che restano" sono i suoi due primi romanzi, narrano entrambi l'Amore, nelle sue diverse forme: come mai sceglie questo tema? E che messaggio pensa, in qualità di educatore, possa trasmettere ai lettori di ogni età?
Esattamente. L’Amore, è il filo rosso un po’ di tutte le storie di cui mi ritrovo a dar voce. Anche al di là dei due romanzi che ho avuto modo di pubblicare. Non c’è un perché preciso. Semplicemente credo nell’Amore, in tutte le sue forme. Non uso a caso la maiuscola. Spesso si scambiano gli amori per l’Amore. Ecco, forse è proprio questo quello che, più o meno inconsapevolmente, la mia scrittura vuole suggerire a chi mi legge: diffidare degli amori con la a minuscola e saper riconoscere quelli dalla A maiuscola. Le mie storie non sono mai del tutto rosee, ci sono sempre punti di difficoltà, spesso punti apparentemente di non ritorno. A questo voglio ambiziosamente educare prima me stesso, poi i miei personaggi e poi il lettore, affinché non ci si stanchi mai di educarsi a un Amore che richiede esercizio, affinamento del nostro sguardo, dei nostri sensi, della nostra sensibilità. Per vivere meglio l’unica vita terrena che ci è concessa.
Sofia è la protagonista del suo romanzo: è frutto della sua immaginazione o è la perfetta commistione degli uomini e delle donne che la circondano o che incontra nella sua quotidianità, con le loro diverse personalità?
Ogni mio personaggio è un po’ frutto di diverse combinazioni. Sofia era già nata col primo romanzo, devo dire per lo più un frutto della mia immaginazione. Per una serie, poi, di strani giri che la vita fa, ho lasciato Sofia, alla fine del primo romanzo, in una condizione in cui mi sono ritrovato io, ovvero a fare i conti con la perdita dell’amica. Lì, io e Sofia, abbiamo iniziato a fare un percorso, un pezzo di strada comune, che poi successivamente si è sdoppiata dirigendoci lungo due bivi diversi. Lei ha tanto di me, ma anche tanta vita propria che è venuta fuori appunto, più che dalla mia immaginazione, dalla mia sensibilità di aspirante scrittore, attento alla voce che poi il personaggio, una volta partorito, eleva alta per essere ascoltato e liberato.
Cosa vuol dire essere sensibili e cos’ è la sensibilità, secondo lei, per uno scrittore?
Sensibilità è sentire col cuore dell’altro. A non tutti è concesso. Credo sia un dono, un talento, come tanti e come tale, qualcuno lo investe e lo fa moltiplicare. Certo, a volte è un’arma a doppio taglio, perché la troppa sensibilità finisce per farci sentire il doppio, specie le emozioni meno belle. Chi scrive, secondo me, ne ha molta, poiché, è abituato a quel sentire il doppio e attraverso gli altri, le parole, gli incontri, i volti incrociati lungo il suo cammino diventano terreno fertile per le storie che poi racconta.
Perché parlare del dolore della perdita di una persona cara e che importanza ha questo, secondo lei, nella vita dell'uomo contemporaneo che vive in una società che privilegia maggiormente l'Io più che il Noi?
Per me è stata una sorta di “terapia”, avendo vissuto in prima persona la perdita di una cara amica. Ė una tematica che ritengo importante, ma non dovendola legare necessariamente alla morte di una persona. Per me perdere qualcuno significa anche rompere un rapporto, di qualsiasi tipo. Ė una perdita a tutti gli effetti e anche quella comporta paradossalmente una sorta di elaborazione del “lutto”. Credo che sia importante proprio perché dovremmo avere sempre più urgenza di recuperare l’importanza di un “noi” a discapito di un “io” che da solo, senza l’apporto dell’altro, si preclude la possibilità e il dovere, di maturare, di crescere. Tutto ciò assume tanto più valore quanto più si riconosce che, spesso, il nostro io cresce e matura grazie a chi, in un modo o nell’altro, perdiamo lungo il cammino.

In conclusione mi racconti un po’ di lei e dei luoghi che caratterizzano la sua scrittura.
I miei due romanzi hanno pochissimi riferimenti topografici. Volutamente, per renderli quanto più “universali” possibili e non relegare le storie che racconto a un preciso luogo. Tuttavia, chi mi conosce, riesce sempre a riconoscere le forme, le tinte, le luci e le ombre dei luoghi del mio quotidiano a cui sono molto legato. Mi riferisco ovviamente alla nostra Noci ma anche al territorio limitrofo, soprattutto il mare, che per me è ha un valore grandissimo. Di solito scrivo al pc, in camera, gambe incrociate sul letto. Questa è la scrittura “ordinata”, come la chiamo io. Poi c’è quella “disordinata” che è quella più spontanea, più urgente, che prende forma su un taccuino, nella migliore delle ipotesi o su foglietti o note del mio smartphone, se sono fuori casa. Quindi sì, scrivo un po’ dovunque e, spesso, lo confesso, scrivo guardando negli occhi chi, senza saperlo, sta dando vita alle storie e ai personaggi che sento intrappolati dentro.

Ė possibile acquistare il libro “I sogni che restano” nelle librerie e in tutti i digital store.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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