NOCI – E’ di recente pubblicazione il libro “Pasquale De Cataldo, disincanto ed eroismo nella Grande Guerra” edito da Adda Edizioni e scritto da Josè Mottola, Avvocato lavorista del Foro di Bari con una innata e fervente passione per la storia contemporanea e per il debunking di narrazioni antistoriche (in particolar modo pseudomeridionaliste).
Il nome del Maggiore De Cataldo, nostro eroico concittadino adottivo, non sarà certamente nuovo a tanti lettori. In questo articolo, infatti, vi parlavamo dettagliatamente del corposo volume “Voci dalla Grande Guera”, pubblicato dalla Società di Storia Patria per la Puglia e scritto a più mani da Pasquale Corsi, Giovanni Paparella e Filippo Perna (nipote del Maggiore de Cataldo). Il volume è una preziosissima testimonianza storica, in quanto contiene l’epistolario intercorso tra De Cataldo e i suoi cari ma soprattutto il “diario di guerra” vergato di suo pugno. Il libro ha catturato in toto l’interesse dell’Avvocato Josè Mottola, che partendo dalla mole di materiale in esso contenuto, ha voluto scavare ancora più in profondità, tentando di rispondere a molteplici interrogativi rimasti aperti. Per cominciare, va fatta una importante riflessione su cosa realmente significasse Patriottismo. Non certo un termine dal significato univoco, ma che si prestava a molteplici accezioni. Dio, Patria e famiglia erano i tre pilastri su cui tanti italiani fondavano le loro vite. Se Dio e famiglia sono però perni più saldi, il concetto di Patria si mostra spesso un ipocrita inganno. Un concetto eccessivamente edulcorato: a tal punto che la guerra viene prospettata ai giovani uomini del tempo perfino come un qualcosa di “giusto e di santo”, specialmente quando si trattava di liberare i compatrioti da dominazioni straniere. Anche per il Maggiore De Cataldo la Patria è Santa e Sacra, e se la Patria avesse richiesto la vita, lui gliel’avrebbe data. Ben presto, però il Maggiore avrà modo di accorgersi di quanta ipocrisia e ingiustizia si celassero dietro gli Alti Comandi. Scopre un ideale di Patria del tutto difforme da quello che gli infiammava il petto di amore e di coraggio. Il fulgido castello crolla miseramente, e il Maggiore non riesce a impedire alla delusione di impossessarsi di lui, tanto da indurlo a interrompere il diario di guerra nel giugno del 1917. Righe che vennero lasciate in bianco non solo per carità di patria, ma per prevenire una eventuale distruzione del documento da parte di qualche superiore suscettibile. In quelle righe, infatti, De Cataldo avrebbe descritto le pesanti colpe e responsabilità degli alti vertici relativamente alla disastrosa situazione sul campo. Quella Patria, De Cataldo l’aveva amata così tanto che dopo una valorosa azione compiuta il 22 luglio del 1915, compiuta per sua espressa volontà e che gli costò gravi ferite, si batte strenuamente per tornare al fronte, mentre avrebbe potuto cogliere l’occasione per starsene nelle retrovie a occuparsi di amministrazione. Nessuna onorificenza gli viene però riconosciuta. E l’amarezza per la delusione cresce. Per meglio evidenziare l’ipocrisia della Patria, scrive Josè Mottola: “Da morto ricevette una benemerenza per un’azione che era stato obbligato a fare, mentre in vita gli era stato negato il riconoscimento per la valorosa azione del 22 luglio 1915, costatagli gravi ferite e compiuta per sua scelta precisa sul campo”.
E in riferimento a quel 16 giugno del 1918, a Capo D’Argine (sul Piave) che fu fatale al Maggiore De Cataldo, Josè Mottola prosegue: “Morì da eroe per forza piuttosto che per scelta, obbedendo ad un ordine scriteriato per motivi non incompatibili tra di loro: il rispetto della sua religione laica del dovere e la certezza della fucilazione sul campo se non avesse obbedito. Insomma, dovendo morire scelse di morire da eroe anziché da vile, sapendo che questa taccia gli sarebbe toccata in caso di disobbedienza a un ordine, pur ingiusto”. Una delle domande cruciali che Josè Mottola si pone e pone ai suoi lettori è “Pasquale De Cataldo può essere considerato un Eroe? Se da tale morì perché non gli fu lasciata altra scelta, è pur vero che da Eroe visse per tutto il suo tempo terreno, quanto a purezza e altezza di ideali