La vocazione al lavoro è vocazione alla vita umana

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Papa Francesco incontra i gruppi laicali del Progetto Policoro

L’esperienza storica del gruppi laicali del Progetto Policoro nasce da un’intuizione di Mons. Mario Operti (1950-2001) il quale – nell’atmosfera del 3° Convegno ecclesiale nazionale di Palermo (20-24 novembre 1995) sul tema “Il Vangelo della carità per una nuova società in Italia” – dà vita a Policoro, in provincia di Matera, a un primo incontro tra giovani, di ambo i sessi, che si svolge l’8 novembre 1995: il motivo dell’incontro, promosso dal responsabile dell’Ufficio nazionale per i problemi sociali e del lavoro della Conferenza Episcopale Italiana (CEI), verte sulle possibilità d’inventarsi alcune possibilità lavorative nell’Italia meridionale, soprattutto per i giovani e per le donne. La proposta viene accettata dalla CEI e affidata alla Caritas nazionale, che, in vent’anni di vita, costituisce ben 1.300 aziende, in 128 diocesi e in 14 regioni dello Stivale.

Ebbene, nella mattinata di giovedì 14 dicembre 2015, Papa Francesco incontra, in Vaticano, i gruppi laicali del Progetto Policoro, ai quali rivolge un significativo discorso, incentrato su un concetto che approfondisce la dottrina cattolica sul significato e sul senso del lavoro umano connesso alla stessa vocazione cristiana nel mondo (cf L’Osservatore Romano, 14-15.12.2015, 8).

Il discorso del Papa si concentra attorno a quattro punti fondamentali.

Nel primo punto, Papa Bergoglio mette in luce la profezia dell’efficacia sociale del Vangelo, fino al punto di dire che, spesso, dalla disoccupazione del lavoro si passa alla disoccupazione della vita, soprattutto nei casi più drammatici dove il degrado sociale è il riflesso della mancanza di lavoro dei coniugi e dei figli. “Nel suo tentativo di coniugare il Vangelo con la concretezza della vita – esordisce il Papa -, questo Progetto rappresentò da subito una grande iniziativa di promozione giovanile, una vera occasione di sviluppo locale a dimensione nazionale. Le sue idee-forza ne hanno segnato il successo: la formazione dei giovani, il lancio di cooperative, la creazione di figure di mediazione come ‘gli animatori di comunità’ e una lunga serie di gesti concreti, segno visibile dell’impegno di questi venti anni di presenza attiva”. La trama della riflessione del Pontefice è assai eloquente: il Progetto Policoro non si basa sul concetto di emancipazione sociale ma sul concetto di promozione umana, da attuarsi attraverso il lavoro poiché il lavoro è degno dell’uomo ed attraverso il lavoro egli diventa”più uomo” e accede “di più” al suo essere, schiudendo, così, la sua vocazione storica e trascendente. L’urgenza della formazione al lavoro specifico, della cooperazione creativa allo sviluppo e della solidarietà a raggiera sono le tre dimensioni che meglio attivano, per il Papa, la realizzazione dell’autosviluppo consapevole e responsabile: autosviluppo che, soprattutto nel Mezzogiorno d’Italia, assume un significato sia sociale sia ecclesiale.

Nel secondo punto, il Vescovo di Roma si sofferma sulla correlazione che sussiste tra la vocazione al lavoro e la dignità della stessa vita umana: vocazione e dignità che si compenetrano a vicenda a motivo della loro eticità cristiana, che esige, tra l’altro, un lavoro libero, creativo, partecipativo e solidale (cf Evangelium gaudium, 192). Il Papa dice che la dignità della vita umana passa attraverso la vocazione creaturale al lavoro per tutti e il diritto umano al lavoro per tutti: un lavoro che nella sua soggettività (=aspetto personalistico) e nella sua oggettività (=aspetto tecnico) alimenta moltissimo sia il formarsi sia la crescita del bene comune della Nazione. “Non perdiamo di vista – continua il Santo Padre – l’urgenza di riaffermare questa dignità! Essa è proprio di tutti e di ciascuno. Ogni lavoratore ha il diritto di vederla tutelata, e in particolare i giovani devono poter coltivare la fiducia che i loro sforzi, il loro entusiasmo, l’investimento delle loro energie e delle loro risorse non saranno inutili”. Il lavoro umano va liberato da tutto ciò che rende inumano il lavoro stesso: va, cioè, umanizzato e reso a misura d’uomo; il lavoro va innovato, nel senso che l’alienazione di chi lavora non s’impadronisca del valori della persona che lavora e, indirettamente, della famiglia in cui il lavoratore vive; il lavoro va partecipato poiché la partecipazione di tutti i soggetti del lavoro è garanzia di maggiore autostima e produttività; il lavoro, inoltre, va reso solidale poiché non esiste un lavoro autonomo ma esiste il lavoro interdipendente, le cui proiezioni si riflettono sull’interezza del processo produttivo e della comunità che lavora.

Nel terzo punto, il Papa relaziona l’attività lavorativa alla speranza affidabile, il lavoro alla città futura e l’economia etica al domani delle nuove generazioni: dal lavoro dipende il formarsi e il mantenimento della famiglia, dipende la coesione e la solidarietà sociale, dipende la coscienza civile e comunitaria. Chi non lavora non spera, non crede, non ama: il lavoro ha questo valore esistenziale che incide sulla vita comunitaria e nei suoi settori (scolastici, sanitari, ecc.). “Voi rappresentate – precisa Papa Bergoglio – certamente un segno concreto di speranza per tanti che non si sono rassegnati, ma hanno deciso di impegnarsi con coraggio per creare o migliorare le proprie possibilità lavorative. Il mio invito è quello di continuare a promuovere iniziative di coinvolgimento giovanile in forma comunitaria e partecipata. Spesso dietro a un progetto di lavoro c’è tanta solitudine: a volte i nostri giovani si trovano a dover affrontare mille difficoltà e senza alcun aiuto. Le stesse famiglie, che pure li sostengono – spesso anche economicamente – non possono fare tanto, e molti sono costretti a rinunciare, scoraggiati”. Il lavoro deve far sperare, deve gratificare, deve costruire la personalità in tutte le sue dimensioni essenziali: il fine del lavoratore cristiano è amare il proprio lavoro poiché il suo lavoro partecipa al bene delle famiglie e al bene comune. Il lavoro per aprirsi al futuro affidabile dev’essere un’arte creativa e non ripetitiva: al banco del lavoro il giovane deve sentirsi partecipe di un progetto di vita, più grande e migliore per tutti.

Nel quarto punto – e ultimo - il Pontefice mette a fuoco che nel lavoro i fedeli laici sono chiamati a praticare la loro vocazione evangelizzatrice e missionaria: se è vero che per loro vocazione  i fedeli laici sono chiamati a cercare il Regno di Dio trattando e ordinando secondo Dio le cose temporali, allora il lavoro è luogo teologico della missione dei laici. In merito, il Papa è esplicito: “Il vostro compito – egli dice – non è semplicemente quello di aiutare i giovani a trovare un’occupazione: è anche una responsabilità di evangelizzazione attraverso il valore santificante del lavoro. Non di un lavoro qualunque! Non del lavoro che sfrutta, che schiaccia, che umilia, che mortifica, ma del lavoro che rende l’uomo veramente libero, secondo la sua nobile dignità”. In altre parole, nell’epoca della globalizzazione finanziaria e dell’indifferenza nei confronti dei poveri, del relativismo culturale e dell’individualismo assoluto, dell’idolatria del denaro e della massificazione virtuale, il lavoro va altresì liberato dal suo impianto, finalizzato al “profitto e basta”. Il lavoro umano – nell’ottica di un sano rapporto tra la “razionalità aperta” e la “fede cristiana” – va purificato, personalizzato e umanizzato: è un’impresa che soprattutto gli industriali e i produttori cristiani sono chiamati ad operare, al fine di dimostrare che il lavoro non è un peso da sopportare ma un diritto da vivere con gioia.-

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