Cervelli in fuga

nero su bianco

Mi chiamo Maria e ho poco più di 30 anni. Ma tempo fa ne avevo 20 di anni, e si sa a quell’età il mondo è diverso perché sono i propri occhi ad esserlo per primi. Per anni ho vissuto in un piccolo paese di provincia: pochi abitanti e tante tradizioni; pochi locali e tanto “patriottismo”. Il paese era piccolo e io stavo crescendo. Perché a vent’anni non sapere dove trascorrere le serate o dover rispettare le regole dei tuoi genitori, sono per te i grandi problemi della vita. Valigia in spalla e pronta a partire. L’università in quel momento mi sembrava l’Occasione, quella da sfruttare per raggiungere la tanto ambita indipendenza, quella utile a non sentirmi più stretta in un mondo troppo piccolo. Quando si ha vent’anni fantastichi sulla vita lontano da casa, pensi di poter fare esattamente ciò che ti va di fare, di non dover ascoltare nessuno se non te stessa, dalle piccole cose – come decidere a che ora sederti a tavola, se sederti a tavola o mangiare con il piatto sulle gambe– alle cose più grandi – orari di studio, frequentare le lezioni, fare la spesa, le faccende domestiche. Tutto va fatto secondo i tuoi tempi e tuoi modi e nessuno è lì a rimproverarti o a giudicare “sbagliato” qualcosa che per te, invece, non lo è. All’inizio tutto mi sembrava essere esattamente come io avevo previsto che fosse. Avevo preso in mano la matita e iniziato a disegnare la mia vita. Eppure qualcosa è andato storto. Non avevo fatto i conti con una cosa importante, anzi, fondamentale. Quei vent’anni non sarebbero rimasti tali per sempre, sarebbero aumentati con il tempo. Sarebbe arrivata presto la laurea e con essa vicino era l’ingresso a quello che chiamano “mondo degli adulti”. È così è stato anche per me. Sono diventata grande e quella città che per anni mi aveva fatto da casa, in realtà con il tempo si era fatta troppo grande. Infondo, dentro di me sapevo che casa mia, quella dove ero nata, dove avevo messo le mie radici, sarebbe rimasta per sempre l’unico posto dove sentirmi realmente a casa. E ora potevo tornarci, niente me lo avrebbe impedito. La mia esperienza fuori l’avevo già fatta, gli anni erano aumentati, e cosa mi impediva di poter trovare lavoro nel mio piccolo paese?

Cosa? Le mie ambizioni. Quelle si che si sono rivelate troppo presto un ostacolo e in quel momento mi erano tornate alla mente le parole di una mia vecchia amica: “Qui non hai futuro”. Credevo di poterla smentire e di poter essere io l’eccezione a quella regola. Mi sbagliavo. Nel mio paese non c’era posto per me e per i miei sogni, che chiamavano troppo grandi, troppo ambiziosi, troppo lungimiranti, insomma erano semplicemente “troppo”.

Improvvisamente quella voglia di indipendenza si era trasformata in voglia di sentirmi a casa. Perché quando hai ancora vent’anni e tutto ti sembra facile e drammatico allo stesso tempo, quando il coraggio di partire non ti manca, in realtà in quel momento stai tralasciando un dettaglio: insieme a te, cresce la tua famiglia, i tuoi genitori, i tuoi amici. Corri il rischio di perderti quei pezzi di vita che la distanza inevitabilmente ti porta via. Quando torni a casa – perché puoi farlo solo a Pasqua, a Natale o durante le vacanze estive – ti rendi conto che la vita dei tuoi amici è andata avanti e pian piano tu non ne fai più parte e inizi a sentirti una “straniera”; e al telefono non puoi neanche dare il tuo pieno sostegno alla tua famiglia quando ne ha davvero bisogno. La vita va avanti e quelle che prima erano le tue scelte si trasformano improvvisamente in scelte di necessità.

Oggi ho poco più di 30 anni, sono ancora Maria, ma oggi sono una donna. Una di quelle che non ha trovato il suo spazio e il suo posto dove avrebbe voluto. Sono quella donna che tornerebbe a casa ogni weekend se potesse, sono quella donna che se avesse il potere di farlo renderebbe il suo paese un posto adatto a tutti, a qualsiasi tipo di sogno; sono quella donna che non ha vergogna ad ammettere l’errore di valutazione che ha commesso quando ha pensato di poter essere comunque felice lontana da casa. Sono quella donna che se tornasse indietro nel tempo non cambierebbe niente della sua vita, se non un aspetto: dare più importanza alle piccole cose che un paese come quello in cui vivevo riesce a darti: le tradizioni con le sue feste patronali, con la domenica in famiglia, con il mercato settimanale. È triste pensare che quello stesso paese non abbia abbastanza spazio per tutti o per lo meno per chi vorrebbe farne parte. Mi chiamo Maria. Ho poco più di 30 anni e faccio parte della categoria “cervelli in fuga”. Ma faccio anche parte di quelli che io chiamo “cervelli in fuga involontaria”. 

 

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