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"Due partite" al Formiche di Puglia

Donne a confronto
due-partiteNOCI - Enzo Monteleone dirige "Due partite" al Formiche di Puglia, un testo, originariamente teatrale, della regista e scrittrice Cristina Comencini. Si immagina che quattro donne, amiche da sempre, si riuniscano il giovedì a casa di una di loro per giocare a carte. Il gioco è pretesto per mettere a confronto mentalità, caratteri, esistenze, idee e idiosincrasie: nessuna lavora e il rovello principale è l'uomo (cioè l'amore, i figli, i tradimenti inflitti e subiti).
Dopo trent'anni (1966-1996), non più all'inizio dell'estate ma in autunno, nel secondo tempo, c'imbattiamo in altre quattro donne: le figlie delle prime. Costoro s'incontrano nella stessa abitazione delle partite a carte dove la padrona di casa si è uccisa. Quelle bambine che nella prima parte erano nella stanza attigua a ritagliare le foto di Grace Kelly mentre le mamme parlavano, litigavano, fumavamo e giocavano, ora sono qui convenute, più che trentenni, a fare le condoglianze all'amica comune. Da premettere che la suicida nella prima metà del film era incinta, per cui la vita che contrassegna gli anni Sessanta viene ribaltata dalla morte degli anni Novanta. Ciò indica che ci sono delle forzature nella narrazione, delle simmetrie e parallelismi. Si pensi, per esempio, al fatto che delle madri non lavorava nessuna mentre le figlie sono tutte impegnate (meno una in congedo dal suo ufficio di avvocato nello spasmodico tentativo di ottenere un figlio da donatori anonimi).
Se l'amore, nel bene e nel male, era il rovello principale, a distanza di tre decenni è il lavoro a condizionarlo se non addirittura ostacolarlo. Alla solarità della prima sezione si contrappone "una fotografia decolorata che è quasi un bianco e nero" che si oppone (dice il regista) agli altri "ambienti e vestiti molto colorati, dai toni pastello, come un film di quegli anni girato in Ferraniacolor". Come si vede la struttura dell'opera è alquanto articolata ma è costruita con fluidità e scorrevolezza. L'impasto di "Due partite" (con la vita e la morte, piuttosto che con le carte da gioco) è sociale e comico, esistenziale e salottiero. Scontando il fatto che la seconda parte è meno incisiva e incalzante ( per i temi trattati e per il clima plumbeo di una generazione di donne più libere ma non più felici delle rispettive genitrici), il film si raccomanda per il brio delle conversazioni e quindi per l'abilità delle interpreti.
Nella versione teatrale fu Margherita Buy a imprimere il ritmo giusto con la mimica forse eccessiva e con il carattere decisionista che assicurava alla commedia un piglio sicuro e ardito. Nel film è Paola Cortellesi a prevalere: è, col suo cinismo e il disincanto, il personaggio più moderno. I suoi scatti e i repentini abbandoni ci restituiscono il ritratto di una donna non convenzionale. Marina Massironi e Isabella Ferrari (ingenua e fragile) conservano i ruoli già ricoperti. Tra le figlie abbiamo apprezzato di più Carolina Crescentini, sensuale e travolgente alle prese con un marito troppo delicato ed apprensivo. La nostra preferenza va però a Claudia Pandolfi, la pediatra stressata ma capace di slanci e passioni.
Le altre interpreti sono Valeria Milillo e Alba Rohrwacher. La scenografia è di Paola Comencini che mette bene in luce, assecondata dalle canzoni di Mina, l'immagine coloratamente "vintage" che abbiamo degli anni Sessanta (prima della rivolta studentesca). Monteleone chiarisce bene il lavoro di trasposizione cinematografica di un testo teatrale: "abbiamo lavorato più che altro sui piani d'ascolto, l'inquadratura, i movimenti di macchina, il montaggio. Il testo non richiedeva particolari rimaneggiamenti, bastava usare la macchina da presa per valorizzare le parole e le ‘performance' d'attore. Montaggio e colonna sonora danno il ritmo, e mi è sembrato giusto caratterizzare gli anni '60 con le canzoni di Mina ("Se telefonando", tra le altre), icona e nume tutelare delle donne di quell'epoca".

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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