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"Cervelli in fuga": dall'Italia all'estero per un futuro più stabile

04 11 fuga cervelliNOCI (Bari) – Lo chiamano “fuga di cervelli” il fenomeno con il quale si cerca di individuare percentuali che mostrino la crescita costante del numero di giovani talenti che lasciano il nostro Paese per portare avanti la propria carriera in città. 

Il fenomeno viene oggi preso in considerazione a causa dell' ondata migratoria che riguarda soprattutto giovani d'età compresa tra i 20 e i 39 anni. Recenti indagini hanno sottolineato che si tratta di percentuali in crescita: 90mila sono i cittadini italiani che si sono trasferiti nel 2014 pari al 34,4% di giovani in più negli ultimi due anni. In particolare le mete più ambite sono risultate essere Regno Unito, Germania, Svizzera e Francia e il più alto numero di partenze si registra dalle grandi città come Milano, Roma, Napoli e Torino.

Al di là di numeri, percentuali e statistiche, sarebbe giusto fare un breve cenno a quelle che sono le motivazioni che ci spingono a prendere una decisione che, se pure apparentemente semplice o conveniente, per molti di noi si rivela come un drastico allontanamento da una realtà della quale avremmo voluto far parte ma che, invece, non ha trovato il giusto posto per noi. Intraprendiamo lunghi percorsi di studio con la speranza che, giunti al traguardo, ci venga riconosciuta anche solo una piccola parte dell’impegno profuso, ma veniamo immediatamente catapultati in una evidenza che ci dimostra come non è questo il posto (o il momento) in cui poter realizzare il nostro sogno. Unica soluzione davanti ai nostri occhi: fare la valigia, salutare amici e famiglia e partire laddove c’è ancora qualcuno che in una frase come “i giovani sono il futuro” non solo ci crede ancora, ma riconosce l’importanza di un’azione concreta.

In primo luogo, tante aziende stanno fallendo, le piccole per un carico di imposte troppo elevato a fronte di un potere d'acquisto sempre più basso per il pubblico, e le grandi per speculazioni che non vengono sufficientemente ostacolate. Ne consegue che, e qui non sto dicendo nulla di nuovo, tanti non riescono a trovare lavoro e che, le poche aziende che restano, approfittano di contratti improponibili ed escamotage che non apportano alcuna stabilità e sicurezza a chi vuole costruirsi una famiglia o peggio ce l'ha già”. Daniela Maraglino Perrini è una nostra concittadina che ha lasciato il nostro Paese e oggi vive e lavora come medico in Francia. Oltre, quindi, alle condizioni di lavoro che in Italia sono proposte, Daniela riconosce che anche l’assenza di meritocrazia può giustificare le alte percentuali dei “cervelli in fuga”. “La mancanza, spesso, di meritocrazia è un altro problema noto, ma che persiste perché a troppi fa comodo: siamo tutti bravi a pubblicare su facebook post contro le raccomandazioni, ma poi, prima di ogni concorso o esame o per un posto di lavoro, tutti chiamano l'amico di turno (se hanno la fortuna di avercelo): ormai siamo arrivati al punto in cui non vince più il raccomandato, ma colui che ha la raccomandazione più forte...In conclusione, la mentalità dovrebbe cambiare e i controlli aumentare”.

Eppure c’è anche chi decide di restare, chi al nostro Paese ha deciso di dare una opportunità. Pierfrancesco Guagnano oggi lavora a Pisa e nonostante la sua decisione di restare, è pure consapevole che si tratta di una problematica reale: “A mio parere la scarsa appetibilità della scena italiana è da inquadrarsi nelle poche politiche dedicate ai giovani, ad esempio secondo me è basso il grado di interazione tra università e lavoro. Motivo per cui ultimamente sto anche facendo parte di associazioni professionali che hanno come obiettivo il dare una mano ai ragazzi nel creare collegamenti professionali quando sono ancora tra i banchi”. Tuttavia, in lui forte è anche la volontà di costruire la sua vita qui in Italia: “La mia scelta onestamente non è inquadrabile in questo contesto perché ho scelto la Toscana perché ingegneria energetica non era presente a Bari, in seguito sono stato uno dei rari esempi in cui la continuità c'è stata; infatti ho subito iniziato a lavorare dove ho fatto il tirocinio per la tesi ed in seguito sono stato contattato dalla mia attuale azienda. In generale penso però che andare definitivamente (non sto parlando di fare una piccola esperienza) all'estero sia un po' una sconfitta perché io voglio fare il possibile per poter stare bene a casa mia (inteso come Italia e in futuro speriamo Puglia)”.

I numeri continuano a crescere e le difficoltà che incontriamo ogni giorno sembrano non giungere ad alcuna soluzione. Così ci ritroviamo costretti a fare la nostra valigia e a partire, rientriamo a far parte di quelle percentuali, ci dividiamo tra coloro che sono felici di aver instaurato le proprie radici in un nuovo Paese e chi, invece, sente che le sue radici saranno per sempre radicate nel posto che ha dovuto lasciare. Raggiungiamo il successo oppure ci accontentiamo, pur di non diventare vittime di una nostalgia che talvolta può risultare altamente limitante, le nostre vite prendono pieghe differenti eppure tutti siamo accomunati da un unico obiettivo: vedere riconosciuti i nostri meriti, gli stessi in cui noi per primi abbiamo creduto e per i quali siamo stati disposti a staccare con forza le nostre radici. Non di tratta di una grande richiesta, se non quella di essere riconosciuti per quello che siamo realmente.

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