NOCI (Bari) - “I muri riflettono molto più degli specchi, caro Albert!”: questa una delle battute dell’esordio, sul palco del Teatro “Gabrieli”, di Vittorio Goffredo. Per la prima volta in scena il 1 ottobre, il suo spettacolo “Mi chiamo Albert” è riuscito a conquistare il pubblico con l’emozione e la giusta tensione che solo un debutto può trasmettere.
Nella semplicità della sua scenografia, composta da solo due sedie, ha trovato spazio la complessità e la pretenziosità dello spettacolo sperimentale, scritto e interpretato unicamente dallo stesso Vittorio Goffredo, per la prima volta da solo sul palco dopo numerose parti in saggi di danza. Un duro lavoro, quindi, quello dell’attore nocese, che ha messo in scena uno dei personaggi che, nella sua carriera artistica, lo hanno maggiormente ispirato e incuriosito: Albert, salito al trono come Giorgio VI, il Re balbuziente d’Inghilterra. Ha unito, infatti, nella sceneggiatura vari monologhi scritti ai tempi di una precedente interpretazione del duca di York, e ciò non fa che segnare la stima e l’amore che Vittorio Goffredo nutre per questo personaggio e quest’arte nel complesso. La sua passione, ci ha raccontato, nasce prevalentemente dal cinema e dal voler diventare uno degli attori che ha sempre ammirato e osservato con rispetto: primo fra tutti Heath Ledger, del quale si è innamorato grazie alla sua interpretazione del Joker.
Tra teatro e metateatro, lo spettacolo ha visto il dialogo costante tra tre personaggi, tutti interpretati magistralmente dall’attore: il logopedista Lionel Logue, maestro e fido compagno, l’Albert “esterno”, pacato e timido, e l’Albert “nascosto”, pronto a non farsi mettere i piedi in testa da nessuno, intollerante e spregiudicato. E’ qui, infatti, che troviamo il punto di contatto, come ci ha spiegato proprio Vittorio Goffredo dopo la chiusura del sipario, tra la sua persona e il personaggio messo in scena: “Albert è un personaggio forte, ma non riesce ad usare questo potere e non riesce a tirare fuori chi è davvero. Ha una sorta di incapacità a farsi rispettare, e in lui rivedo molti tratti di me stesso”. Una sorta, dunque, di “dramma di formazione”, che dietro all’evoluzione di Albert cela un’indagine quasi psicologica di se stesso, coadiuvata e resa possibile grazie a Silvia Mastrangelo, “madre artistica” e braccio forte per la regia e il montaggio, Roberto Lacarbonara per le musiche e Mirko Gigante per il supporto tecnico.