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Settembre in Santa Chiara: si conclude con la testimonianza di Nicola Giacovelli

10 01 SettembreInSantaChiaraUltimoNOCI – E’ giunta al termine anche questa XX edizione di "Settembre in Santa Chiara”, il ciclo di conversazioni storiche organizzato e promosso dal Centro Culturale Giuseppe Albanese, Biblioteca comunale di Noci, Centro Umanesimo della Pietra di Martina Franca, Terra Nucum e Puglia Trek&Food. La serata conclusiva, tenutasi all’interno del Chiostro delle Clarisse lo scorso 30 settembre è stata certamente una delle più cariche dal punto di vista emozionale. E’ stata raccontata infatti la storia del nostro concittadino Nicola Giacovelli, oggi lucidissimo centenario con grande dialettica, che visse al tempo la drammatica esperienza di internato militare italiano nei lager nazisti.

10 01 SettembreInSantaChiaraUltimoAppuntamentoDopo i saluti iniziali e la breve introduzione del direttore della Biblioteca Comunale Giuseppe Basile, ha preso la parola il Porf. Raffaele Pellegrino, docente e ricercatore dell’IPSAIC, specializzato proprio in storia e ricerca del nazismo e del fascismo e della Shoa. In maniera sintetica ma meticolosa e chiara, Pellegrino ha illustrato il contesto storico generale che ha fatto da sfondo alla storia personale del nostro concittadino Nicola Giacovelli. L’8 settembre 1943, inizialmente venne da molti festeggiato (in maniera un po’ troppo avventata) come la tanto sospirata fine della guerra. Non fu affatto così, perché l’Italia, a quella data si presenta come un paese sbandato, diviso in due. I Tedeschi, che vedono l’Italia come un pase traditore, hanno il ferreo ordine di fare tabula rasa, senza alcun rispetto della vita e della dignità umana. Si costituisce la tanto controversa Repubblica di Salò, e la domanda che viene posta a molti è “Vuoi stare con il Duce?”. Nicola Giacovelli, a questo proposito ricorda che la sua risposta fu un “No” secco. Un “No”, proferito senza stare a pensarci neppure un secondo. Che chi osasse dire di no al Duce andasse incontro a un destino poco felice era cosa risaputa a tutti al tempo, ma quel “NO!”, Giacovelli lo proferisce ugualmente. E viene caricato su quei treni a porte chiuse, pieni come carri bestiame, che da Noci seguirà il tragitto Bologna, Limone (in provincia di Alessandria), Mantova, Pescantina, Innsbruck, Berlino, Kustrin (in Polonia) e Odessa (in Ucraina).
Non fate neanche lontanamente sentire a Nicola Giacovelli la solita tiritera che “Mussolini però ha fatto anche cose buone”, perché lui certe incancellabili brutture le ha vissute sulla propria pelle.
10 01 SettembreInSantaChiaraSertaConclusiva“Ma stiamo scherzando? Ci sentivamo degli animali su quei treni, non delle persone. Ci trattavano come se non avessimo una dignità umana”- ricorda il nostro concittadino.
Ed era la realtà dei fatti: si veniva trattati solo ed esclusivamente come macchine da lavoro prive di un’anima. “Per cena solo brodaglia con qualche rapa rossa che vi galleggiava, e a pranzo, se si era fortunati una sorta di biberon con acqua calda, bucce di patate e margarina”- racconta Giacovelli. Quelle bucce di patate, spesso e volentieri si riusciva a raccattarle dai cucinieri, mossi a pietà.
Come puntualizzato dal Prof. Pellegrino, gli IMI (internati militari italiani) non avevano alcun vantaggio tangibile rispetto ai prigionieri di guerra. Cambiava solo il termine in uso, perché il tutto potesse apparire più “lieve”, quando di fatto non lo era. Da IMI, la definizione diviene ancora più ipocritamente “patinata”: lavoratori civili”. Nicola Giacovelli, durante quel terribile periodo di prigionia, lavora in una fabbrica che produce mitragliatrici. Arriva a pesare 38 kg, ma qui iniziano a palesarsi i segni di un destino che alla fine gli avrebbe sorriso. Soli 3 kg in più lo salvano dalla deportazione ad Aushwitz e quindi da morte certa.
“Se fossi sceso a 35 kg, mi avrebbero mandato a morire perché sarei stato classificato tra gli inabili al lavoro”- precisa il nostro protagonista.
Denuncia inoltre Giacovelli: “Neanche lo Stato all’epoca ci ha aiutati!”. E non si può dargli torto, dal momento che l’operato degli enti preposti a dare un aiuto concreto come SAI e Croce Rossa, si rivela del tutto inefficace.
Arrivano i Russi: è l’alba della Liberazione, finalmente. Una pagnotta di pane da mezzo chilo al giorno, con i tedeschi sarebbe sembrata un sogno, un miraggio.
Nicola Giacovelli può finalmente tornare a casa. Al suo rientro, la gente in lacrime lo ferma mostrandogli le foto di alcuni cari sottoposti a prigionia come lui, chiedendogli se abbia loro notizie. Molti non ce l’avevano fatta, purtroppo. Erano morti di stenti, non trovando né la forza per lottare, né quella per ammazzarsi con le proprie mani.
Nicola può tornare alla sua passione: lavorare la pietra, darle vita e quasi respiro, tramutarla in arte. Il termine “scalpellino”, allora in voga, appare certamente riduttivo vedendo la bellezza, l’originalità e la creatività insite nelle sue opere. E’ stato il figlio, il noto architetto nocese Francesco Giacovelli, a illustrare orgogliosamente quanto realizzato dal padre, allievo preferito di Vincenzo Nardulli, originario di Gioia del Colle e per il quale i gioiesi hanno tutt’oggi una sorta di venerazione. Tra le suddette opere vi sono una lampada votiva realizzata per la nonna, gli elementi ornamentali della cappella gentilizia della Famiglia Ricco-Giannini presso il cimitero di Noci e la fontana della Villa Comunale. La Chiesa dell’Immacolata di Gioia è stata appunto la palestra dove Nicola Giacovelli si è formato professionalmente, quel luogo che gli fa ancora brillare gli occhi dall’emozione. La passione per il far assumere alla pietra molteplici forme e molteplici significati, Nicola Giacovelli deve averla senz’altro ereditata dal padre Francesco. Stessa cosa vale per suo figlio, uno degli architetti più stimati di Noci. Insomma, una passione di famiglia quelle per il creare, per il costruire. A rendere immortale Nicola Giacovelli sarà sicuramente la sua arte, quelle pietre che portano la sua firma e a cui ha impresso parte della sua anima, ma ancor di più la sua storia di coraggio, tutta insita in quel “No!” detto al Duce. Per questo Eroico coraggio, lo scorso 3 luglio, presso la sala degli Specchi della Prefettura di Bari, Giacovelli ha ricevuto una medaglia d’onore. Ma più di quella medaglia, vale il premio che gli ha consegnato la vita: varcare la soglia dei 100 anni con una lucidità disarmante e una dialettica scioltissima, che gli consentono oggi di testimoniare quel rifiuto al fascismo di cui non si è mai pentito. Nicola si ritiene fortunatissimo per
l’aver potuto continuare a portare avanti la sua arte, oltre che per la sua ottima salute. Il suo unico rammarico è la mancanza dell’amata moglie, mancata 25 anni fa. Un vuoto che il figlio Francesco ha voluto colmare fotografandolo con la medaglia ricevuta e alle spalle due ritratti: di lui e di sua moglie da giovani, al tempo in cui si innamorarono.
10 01 SettembreInSantaChiaraCosa può insegnare questa storia di vita vissuta ai giovani di oggi? Ad avere il coraggio di dire di no di fronte a tutto quello che non stia loro bene, di fronte a tutto ciò che sia percepito come ingiusto. Difendere i propri ideali sempre e comunque, per quanto caro possa costare. Alla fine la vita trova il modo di premiarci.
Un particolare su cui riflettere, evidenziato anche dal sindaco Domenico Nisi nei suoi saluti finali. Alla domanda “Cosa ti ha dato il coraggio di continuare a lottare, di non lasciarti andare in quei tragici momenti?”, che suo nipote gli ha rivolto in un’intervista, Nicola Giacovelli ha risposto: “La fede nel mondo!”. Cerchiamo di nutrire sempre quella fede nel buono, nella forza positiva di cui è pregno l’universo e che è pronta a essere utilizzata dall’uomo. Sia consentito anche a noi di Noci24 di augurare ancora lunga vita a Nicola Giacovelli, che continua a lavorare con il suo scalpello e la cui esistenza non è solo testimonianza, ma profuma letteralmente di miracoloso.

 

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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