NOCI – Lo scorso 16 settembre, all’interno del Chiostro delle Clarisse, a partire dalle ore 18:45, si è svolto il secondo dei quattro incontri in programma per “Settembre in Santa Chiara” il ciclo di conversazioni storiche organizzato e promosso dal Centro Culturale Giuseppe Albanese, Biblioteca comunale di Noci, Centro Umanesimo della Pietra di Martina Franca, Terra Nucum e Puglia Trek&Food. Il tema della serata ha riguardato gli anni Venti del Novecento, che a Noci furono particolarmente tumultuosi: l’irrisolta questione dell’assegnazione delle terre usurpate, la nascita del socialismo, l’avvento del socialismo cui si contrappone il fascismo. Gli animi si scaldano, gli scontri esplodono violenti… e non mancano epiloghi tragici come l’omicidio di Oronzo Loperfido. A relazionare in merito a questo capitolo della nostra storia avvincente, sanguinoso e rocambolesco come un romanzo, è stato lo studioso di storia locale, Pasquale Gentile. Ma procediamo con ordine.
Nella sua introduzione alla serata, Giuseppe Basile, direttore della Biblioteca Comunale, ha utilzzato alcune incisive parole tratte dall'opuscolo "Passione Giacobina", realizzato da lui e da Josè Mottola, presidente del Centro Culturale Albanese in occasione dei 220 anni della Repubblica Napoletana in ricordo di Marotta.
"Soltanto nuove generazioni colte e informate possono salvare l'Europa dallo scadimento etico, morale e politico in atto. Solo una generazione di politici educati alla filosofia, alla storia e alla memoria storica può salvare il mondo. Solo è degno di essere uomo e di chiamarsi uomo quell'uomo che pone prima gli interessi generali, prima il bene comune e poi il bene della propria famiglia.Queste non sono parole mie, sono parole di Albanese, di Pagano, di Eleonora De Francesca, Pimentel"- ha detto Basile. Tornando però al tema centrale della serata, è risaputo che quando un fuoco non è del tutto estinto, ma sotto la cenere si cela ancora qualche scintilla, si può star certi che presto o tardi le fiamme torneranno a divampare. L’irrisolta questione demaniale, legata all’assegnazione delle terre usurpate e non ancora restituite dai “possidenti” presta il fianco. Nasce qui il primo e genuino socialismo, incarnato dalla figura di Ciccepavòle u’ Capòne, che si schiera apertamente al fianco dei poveri, giurando di dare del bel filo da torcere ai possidenti. Nel primo dopoguerra, si fa strada il fascismo, che si presenta in veste allettante, offrendo giustizia e progresso sociale come irresistibili pietanze sul suo vassoio. Il popolo si divide: c’è chi si schiera da una parte e chi dall’altra, e ogni movimento appena nato, vede in testa un leader che organizza le masse. Nel 1914, i braccianti si schiarano con il “rosso” del socialismo, e guidati da Vincenzo Guerra (che sarebbe stato sindaco di Noci e avrebbe avuto guai non indifferenti con la giustizia) conquistano il Comune. Non solo: vincono le elezioni politiche nel 1919, e le amministrative l’anno successivo. Vano il tentativo di “galantuomini” e fascisti di tentare di un riscatto alle politiche del 1921. Le cose degenerano ulteriormente, gli scontri si fanno violenti ed efferati e come spesso accade quando la violenza e la rabbia sono cieche, ci scappa il morto. Viene accoltellato Oronzo Loperfido, ex socialista passato dalla parte dei fascisti. Una colpa gravissima che andava punita? Con molta probabilità sì. Esecutore materiale del quarantacinquenne Loperfido è verosimilmente Giovanni Tartarelli, mentre Pietro Tutino e Giovanni Scio avrebbero tenuto fermo l’uomo mentre gli veniva inferta la pugnalata che lo avrebbe poi portato alla morte per grave emorragia interna. Sembra che ci fosse stato anche un testimone sordomuto ad assistere al delitto, tal Stefano Bianco, ma verrà ritenuto poco attendibile dai giurati. Tartarelli, intanto, prima confessa e poi ritratta, e, ovviamente, questa sua ritrattazione non viene ritenuta credibile. Sta di fatto che, mentre per Vincenzo Guerra continueranno a susseguirsi un bel po’ di “rogne giudiziarie”, Oronzo Loperfido viene eretto a martire del fascismo, con gerarchi ed alte personalità del regime che ogni anno lo commemorano con tutti gli onori del caso. Ancora una volta, la storia ci insegna che per quanto si possa essere convinti delle proprie idee e voler lottare per concretizzarle, per quanto si posse ritenere di essere profondamente nel giusto, la violenza non è mai giustificabile. Avremo imparato la lezione? A giudicare dall’oggettiva realtà delle pagine di cronaca odierna, decisamente no.