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Diritto alla vita e pena di morte

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Videomessaggio di Papa Francesco al Congresso mondiale contro la pena di morte

 

In questi giorni, si è svolto, ad Oslo, in Norvegia, il sesto Congresso mondiale contro la pena di morte, a cui aderiscono circa centoquaranta Organizzazioni di ogni continente. Per l’occasione, il Santo Padre è intervenuto con un videomessaggio, incentrato, soprattutto, sul diritto umano all’inalienabilità della vita (cf L’Osservatore Romano, 23.06.2016, 6).

Il primo punto evidenziato dal Pontefice riguarda la necessità planetaria di liberarsi dal peso morale e giuridico della pena di morte. “Desidero…esprimere – dice il Papa – la mia personale gratitudine, e anche quella delle persone di buona volontà, per l’impegno a favore di un mondo libero dalla pena di morte”. Quest’impegno va ulteriormente realizzato sia a livello culturale sia a livello politico: il codice etico e il codice penale dei Paesi civili vanno calibrati, cioè, all’interno di una visione alta dei diritti umani (Papisca, 1993) e delle loro trascrizioni legislative e operative. In merito, urge, comunque, una profonda e diffusa democratizzazione culturale volta all’educazione ai valori e alla loro gerarchizzazione umanistica: segnatamente urge un’educazione al primato apicale del valore della vita umana, che è condizione originaria e riepilogativa da cui derivano e dipendono gli altri valori intermedi e finali della persona e della stessa società. L’educazione valoriale degli esseri umani, oltre ad avere un carattere culturale e permanente, trova la sua radice civile nel pluralismo educativo, che, in un mondo in via di globalizzazione (Benedetto XVI, 2009), non può non trovare un punto comune di ragione (Lazzati, 1985; Balduzzi, 2007). Alla luce del valore universale della laicità, la pena di  morte è contraria alla razionalità giuridica poiché la stessa filosofia del diritto insegna che la giustizia sociale è orientata a fondare il bene comune e non il male individuale; ciò esplicita il fatto che la pena di morte è immorale perché è disumana e inumana. “Non uccidere” (Es 20,13) non è soltanto il quinto comandamento del “decalogo” ma è il primo comandamento della legge dell’amore nei confronti del prossimo: “La vita umana è sacra – suggerisce il Catechismo della Chiesa Cattolica (CCC, 1999) – perché, fin dal suo inizio, comporta l’azione creatrice di Dio e rimane per sempre in una relazione speciale con il Creatore, suo unico fine. Solo Dio è il Signore della vita dal suo inizio alla sua fine” (n.2258). Non lo Stato o la Chiesa ma solo Dio dona la vita e, dopo la morte naturale, la trasfigura e la risuscita, in Cristo, nella sua unità e unicità personale.

         Il secondo punto messo in luce dal Vescovo di Roma concerne la speranza affidabile nella pratica dell’inviolabilià della vita umana. “Un segno di speranza – continua il Papa – è lo sviluppo, dell’opinione pubblica, di una crescente opposizione alla pena di morte, perfino come strumento di legittima difesa sociale. Di fatto, oggi la pena di morte è inammissibile, per quanto possa essere grave il crimine del condannato. E’ un’offesa all’inviolabilità della vita e alla dignità della persona umana, che contraddice il disegno di Dio per l’uomo e la società e la sua giustizia misericordiosa e impedisce il compimento della giusta finalità delle pene”. La pena di morte (Bondolfi, 1990) o pena capitale oscura, nel condannato, l’orizzonte della speranza esistenziale in un domani diverso e di redenzione: domani utopico e socialmente e storicamente  salvifico. Vivere senza speranza coincide col vivere con la morte e per la morte, spesso non dovuta in quanto non proporzionata all’eventuale innocenza. In senso ontologico, oggi, la pena di morte è assimilabile alla non vita delle “pietre di scarto”, delle “periferie esistenziali” e degli “avanzi urbani”: in tal senso, per l’etica teologica e per la morale cristiana anche l’istituto giuridico dell’ergastolo va rivisto poiché toglie la speranza in un ravvedimento temporale. In uno Stato libero, sovrano, democratico e pluralista anche l’ergastolo può essere contrastato attraverso la rieducazione (Pacucci, 2005) alla non pericolosità sociale del condannato. In ordine al rapporto tra “legittima difesa” e “legittima offesa”, il Compendio della dottrina sociale della Chiesa (CDSC, 2004) così s’esprime: “La Chiesa vede come un segno di speranza ‘la sempre più diffusa avversione dell’opinione pubblica alla pena di morte anche come solo strumento di ‘legittima difesa’ sociale, in considerazione delle possibilità di cui dispone una moderna società di reprimere efficacemente il crimine in modi che, mentre rendono inoffensivo colui che l’ha commesso, non gli tolgono definitivamente la possibilità di redimersi’” (n.405). Qui non si dice che uno Stato, sovrano e indipendente, non debba o non possa contemplare, in casi estremi, la pena di morte: qui si vuole dire che la coscienza universale e democratica  dell’intera umanità civilizzata ha, ormai, intrapreso la strada etica e irreversibile del valore disumano della pena di morte e dei suoi surrogati, come, per esempio, le condizioni non coerenti coi diritti umani dei carcerati.

          Il terzo – e ultimo – punto sottolineato dal “Papa venuto dalla fine del mondo” attiene al fine fondamentale di ogni pena che è la riabilitazione del reo. “’Fare giustizia’ – conclude il Santo Padre – non significa cercare la punizione come fine a se stesso, ma far sì che il fine fondamentale di ogni pena sia la riabilitazione del reo. La questione deve essere inquadrata nell’ottica di una giustizia penale aperta alla possibilità di reinserimento del colpevole nella società”. In questo ultimo brano, Papa Bergoglio sintetizza, molto bene, qual è il giudizio cristiano sulla pena di morte (cf CDSC n.405): giudizio immorale perché in palese contrasto col quinto comandamento dell’AT e con comandamento dell’amore del NT. Per tali motivi teologici, ogni pena deve avere lo scopo di riordinare la comunità civile attraverso il reinserimento sociale del colpevole la cui espiazione risarcisce il male compiuto. A monte di tali orientamenti valoriali c’è, comunque, il primato della cultura della vita sulla cultura della morte: cultura della vita che dev’essere trasversale a tutte le istituzioni statuali e pubbliche che si prendono cura dell’intero arco temporale della vita umana e delle famiglie, dalla fase naturale del concepimento alla fase naturale della morte terrena. Anche la moratoria alla pena capitale decisa da alcuni Stati durante l’Anno Santo della Misericordia, non scalfisce il canone inumano della pena di morte: canone che, invece, definisce la regola universale e irretrattabile che dice di non fare agli altri ciò che non vuoi sia fatto a te.-

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