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Di persona personalmente

05 19doraintiniNOCI (Bari) -Che emozione vedervi di persona, maestre!” esclama una mamma.
- “Di persona personalmente” verrebbe da dire, citando Camilleri.
Due settimane fa è cominciata la fase 2 e abbiamo avuto l’opportunità di recarci a scuola per restituire agli alunni i libri e i materiali didattici presenti nelle classi. Con il supporto prezioso della protezione civile tutto è stato affidato ai genitori. In questo andare e tornare di genitori, alunni e docenti, sempre nel rispetto delle norme di distanziamento sociale, ci è capitato di incrociare sguardi, se pur coperti da mascherine, di accennare saluti a debita distanza, di esprimere la gioia dell’incontro con ciao sonori e ad alta voce, quasi con un fare goffo, perché poco abituati a gestire le distanze. È stata comunque l’occasione per guardarsi tra persone e per guardare la scuola, quest’ultima uguale a come l’avevamo lasciata.

Sono passati 2 mesi dalla chiusura. Due mesi a casa. Abbiamo fatto scuola tra mura domestiche, nostre e delle famiglie. Ci siamo attivati inventando mille soluzioni per dare forma alla didattica a distanza. Abbiamo cominciato con le videoconferenze rivolte all’intera classe, ma dopo i primi incontri, esauriti i saluti e le domande necessarie, ci siamo subito resi conto che nella scuola primaria non è possibile pensare di avere gli alunni attenti davanti ad uno schermo, che non è lo stesso per tutti - cellulare, tablet, computer - e proporre la lezione come fanno i docenti universitari, considerando anche il bisogno di movimento dei bambini, di intervenire in una discussione e anche la necessità di distrarsi.

Siamo passati al piccolo gruppo (4, 5 alunni per volta), studiando una proposta interattiva con la possibilità di essere completata in autonomia, lontani dal computer. L’attività eseguita viene poi presentata ai compagni durante la videoconferenza successiva, per essere assunta e integrata con il contributo di tutti.

Stiamo mantenendo un rapporto quotidiano con i bambini e con i genitori, che non ha un tempo della giornata dedicato, perché siamo in emergenza e nessun docente ha posto paletti organizzativi, ma adattamenti alle esigenze familiari. E nonostante le difficoltà, tutti - bambini, genitori e docenti - stiamo esprimendo una grande e inaspettata solidarietà. Da subito abbiamo provveduto a ricostruire la relazione educativa a distanza, sapendo che questo nuovo modo di fare scuola avrebbe inevitabilmente escluso qualcuno. Ma non abbiamo rinunciato, non ci siamo sottratti alla riflessione, al confronto tra colleghi e genitori per dissipare dubbi, impegnandoci anche in ore di formazione e autoformazione per garantire a tutti il diritto all’istruzione.

Tutti i giorni affrontiamo ostacoli di piccole e grandi dimensioni: mancanza di connessione e hardware adeguati nelle famiglie; molti non hanno in casa il computer e l’unico dispositivo è il cellulare; famiglie con più figli che frequentano vari ordini di scuola; genitori che stanno lavorando in smart working e un solo computer in casa non è sufficiente; ragazzi con disabilità che ci invitano a inventare non solo una didattica a distanza adatta a loro, ma anche a ripensare le azioni di inclusione per ognuno di loro. Però occorre sottolineare ancora una volta che questa didattica sta rispondendo all’emergenza. Non è pensabile accoglierla sul lungo periodo senza compromettere l’apprendimento di quei ragazzi che manifestano più bisogni educativi.
Nella scuola primaria parliamo di bambini e bambine che necessitano della presenza di un adulto nell’utilizzo dei supporti multimediali e nella gestione organizzativa delle videoconferenze e non possono essere lasciati da soli davanti a uno schermo. Su questo punto dovremmo essere tutti d’accordo.
In questa fase 2, giustamente, bisogna rivedere l’organizzazione che abbiamo dato alla DaD in questi mesi, dobbiamo necessariamente contemplare il bisogno dei bambini di vivere momenti di vita all’aperto, in sicurezza. E lo stiamo facendo, ma quali sono i luoghi messi a disposizione per i nostri alunni? La nostra cittadina, in diverse occasioni, ha mostrato attenzione verso i bambini, agevolando e sostenendo. Deve continuare a farlo.

Ora la politica locale ha necessità di ascoltare le famiglie, i docenti, di mettere a disposizione i luoghi, di attivare organizzazioni che consentano ai bambini e a tutti di percorrere vie in completa sicurezza.
Adesso loro possono uscire, fare una passeggiata, ma qual è la risposta di un paese, del nostro paese. Quali vie percorrere, quali parchi mettere a disposizione dei bambini, tenendo conto che li abbiamo tenuti in casa per 2 mesi e che hanno bisogno di muoversi in “libertà” e in sicurezza.

Forse un’attenzione particolare all’organizzazione della viabilità per consentire ai bambini di poter godere delle belle giornate e di un’aria che per ovvie ragioni risulta più salubre è necessaria.
Guido Dotti Monaco di Bose sostiene che siamo in un periodo di cura. “La cura si nutre di prossimità, solidarietà, compassione, umiltà, dignità, delicatezza, tatto, ascolto, autenticità, pazienza, perseveranza… Per questo tutti noi possiamo essere artefici essenziali di questo aver cura dell’altro, del pianeta e di noi stessi…”. Tutti: genitori, insegnanti, amministratori pubblici, tutti.

Cura dei bambini, delle persone, delle relazioni, dei luoghi, del vivere comune coinvolgendo tutto il paese con le sue peculiarità e professionalità, con l’attenzione di non lasciare indietro nessuno e di non escludere nessuno. Ora, e non dopo.
Occorre una ricognizione degli spazi e la capacità di guardarli in una dimensione prospettica nuova, di nuovo utilizzo: spazi del centro storico o dell’immediata periferia.

È necessario pensare ad accordi per utilizzare le botteghe artigiane, i laboratori, il centro sociale, il museo dei ragazzi, la biblioteca, i chiostri. Occorrono intese promosse dai Presidi e dal Sindaco. Una scuola diffusa gioverebbe a tutto il paese, lo vestirebbe di ambiente Educativo e di Apprendimento.

Sulla scuola ci sono mille incertezze, si ipotizzano organizzazioni improponibili. Per gli alunni della primaria ritengo sia necessario ripartire quanto prima, in presenza e in sicurezza. È difficile pensare di alternare didattica in presenza con didattica a distanza.

La DaD è stato l’unico strumento possibile in questo tempo sospeso, ha delle potenzialità ma non credo vi siano docenti che ritengano di poter utilizzare stabilmente questa modalità. Abbiamo dimostrato senso di responsabilità, inventiva. Però non è pensabile di poter fare a meno della didattica in presenza. La DaD è una didattica dell’emergenza.
In questi ultimi anni abbiamo sperimentato la classe laboratorio, la didattica attiva, la cooperazione tra alunni, l’assenza della cattedra. In questo tempo sospeso abbiamo dovuto mettere da parte le nostre pratiche, modificando tutto perché il contesto è radicalmente cambiato, la nostra immagine di scuola costruita intorno all’aula è cambiata. È completamente inedita, ma “La scuola è aperta a tutti” (Art. 34 della Costituzione).

La stessa ministra Azzolina ammette che molti ragazzi non sono stati raggiunti dalla DaD, dov’è il diritto all’istruzione per questi bambini? Abbiamo imparato a intuire difficoltà, a considerare le esigenze dei genitori, e in maniera del tutto naturale si sono sviluppate alleanze preziose e inaspettate con i genitori.

Stiamo sperimentando una scuola non confinata nelle sole aule scolastiche, ma che utilizza gli ambienti di vita dei bambini, le loro esperienze che diventano esperienze comunitarie. Entrando nelle case partecipiamo all’attesa dei fratellini, come il mio alunno Angelo sicuramente ce ne saranno altri e a tante altre storie: Donato ci ha mostrato i suoi cuccioli, Mara le sue costanti scoperte, Alessio la sua fortunata pesca, Vitantonio il suo dalmata… di quasi tutti potrei raccontare ma su quel QUASI è necessario fermarsi per sottolineare che questa è una emergenza che ci permette anche di salvare molte cose significative che si sono verificate e che ci aprono a nuove possibilità, ma, allo stesso tempo, non possiamo pensare di ricominciare con la stessa organizzazione, sarebbe un grave errore e un’occasione perduta.

Dobbiamo utilizzare questi mesi estivi per provare a leggere a fondo la nostra realtà, le risorse strutturali, umane e stringere accordi e convenzioni.

È necessario cambiare i paradigmi: passare dall’emergenza a considerare questa nuova realtà una sfida educativa e didattica capace di dare origine a una nuova scuola, più integrata nel territorio, che sa fronteggiare l’isolamento, la solitudine, il silenzio di questi mesi e le diverse forme di povertà che la pandemia sta generando.
Abbiamo sufficienti dati in mano per studiarli confrontandoci in consigli dedicati e allargati. Dobbiamo rientrare a settembre non in emergenza, ma capaci di sperimentare e coniugare le intuizioni che in questo tempo ci hanno permesso di raggiungere buoni risultati con la progettualità del prossimo futuro: settembre.

Ci sarà bisogno di tanta energia, a settembre, di una forte rete territoriale, di grandi intese. Ogni scuola ha al proprio interno figure di sistema che conoscono a fondo la propria utenza, le proprie risorse ed esigenze. È bene che la politica coordini il dialogo con loro potendo immaginare insieme una scuola più aperta, più giusta, più inclusiva di prima.

Arriva un momento nel quale t’adduni, t’accorgi che la tua vita è cangiata. Fatti impercettibili si sono accumulati fino a determinare la svolta. O macari fatti ben visibili, di cui però non hai calcolato la portata, le conseguenze”. Citando sempre Camilleri.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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