NOCI (Bari) - Lo scorso 5 luglio, presso Largo Torre è stato presentato “Fiore che ssembe”, il primo libro di Giovanni Laera. Si tratta di 27 poesie in dialetto nocese, tutte con traduzione italiana a fronte.
Il poeta ed editore Antonio Lillo della casa editrice Pietre Vive, che ne ha curato la pubblicazione, ha tenuto una breve introduzione sul suo incontro con l’autore e su come è nato il libro.
Dopodichè, il musicista, poeta ed illustratore Vittorino Curci, ha dialogato con Giovanni Laera in merito alla metrica, alla semantica e al significato antropologico delle poesie.
La poesia non ha potuto non abbracciare anche la musica, con la bravura del musicista Giuseppe Liuzzi che ha eseguito con chitarra e voce dei brani in dialetto nocese scritti da Giovanni e da suo fratello.
In copertina spicca una bella illustrazione di Vittorino Curci, scelta da Giovanni tra i numerosi disegni dell’artista (citato peraltro nel libro) che gli sono stati mostrati. Un’illustrazione a tutta pagina, senza né titolo né nome dell’autore:cosa alquanto singolare in una società dove tutti auspicano di vedere il proprio nome stampato in copertina.
In questo caso invece, quello che conta è l’importanza dei messaggi, non chi li veicola.
“Tutto è iniziato all’inizio dello scorso autunno, con una telefonata da parte di Lino Angiulli, uno dei poeti pugliesi più apprezzati”- ha esordito l’editore Antonio Lillo- “Lino mi dice testualmente: “Ho un ragazzo bravissimo che va assolutamente pubblicato: si chiama Giovanni Laera. Lo pubblichi a giugno!”- e ha immediatamente chiuso la comunicazione senza darmi modo di aggiungere nulla. Così mi sono ritrovato a dover pubblicare di lì a poco il libro senza conoscerne l’autore. Frattanto però, tutti mi parlavano di un poeta residente a Polignano ma nocese di nascita che dovevo assolutamente conoscere perché possedeva davvero un gran talento. Mi facevano tutti il nome di Giovanni. Così ci siamo incontrati, ho visionato il manoscritto e ho pubblicato senza intervenire quasi per nulla con le modifiche!”
Molti avranno sicuramente sentito parlare di Giovanni Laera a proposito del Centro Studi sui Dialetti Apulo-Baresi di cui fa orgogliosamente parte.
La collaborazione con gli altri membri del Centro Studi, lo ha aiutato senz’altro ad addentrarsi più in profondità nel significato e nelle svariate possibilità di utilizzo di una lingua intensa e “malleabile” con cui si può veramente “giocare” come si vuole, veicolando qualsiasi messaggio in maniera più diretta.
“Il dialetto è la lingua della mia infanzia e della mia giovinezza, di mia nonna e di un’intera comunità”- ha puntualizzato l’autore.
Giovanni Laera ha altresì ammesso di essersi rivelato molto puntiglioso per quel che concerne la traduzione: “Quello che volevo assolutamente evitare, era il tentare di “innalzare” il livello del linguaggio nel trasporre dal dialetto all’italiano, quasi togliendo dignità al primo! Sappiamo bene che alcune espressioni tipicamente dialettali risultano fuori luogo, prive di intensità o addirittura ridicole se tradotte forzatamente in un italiano aulico. Meglio utilizzare quindi un “Italiano gergale””.
Vittorino Curci ha rimarcato la differenza tra poesie in dialetto e poesie dialettali: “Una poesia scritta in dialetto può benissimo essere tutt’altro che dialettale, ma rivelarsi invece colta e alta, senza contenere nulla di folkloristico o popolare!”
Un libro oscuro, enigmatico, “criùse”, che esprime un dolore interiore quasi metafisico. Il libro di Giovanni è uno di quelli che continuano a “rùsce” (detto alla nocese) ovvero a sussurrarti all’orecchio una volta ultimata la lettura. Le poesie sono i tasselli di un lungo percorso di ricerca esistenziale, portato a termine non senza sofferenza. Importante anche la dimensione onirica di cui le poesie sono pregne.
Vittorino Curci ha fornito una suggestiva interpretazione per immagini di quella che è l’essenza dell’opera: “Se dovessi rappresentare il libro con una illustrazione, disegnerei l’autore in bilico su uno di quei ponti vacillanti realizzati in corda. Per cadere perdendosi negli abissi dell’oceano sotto di lui, Giovanni si aggrappa al “passamano” della metrica!”
E proprio parlando di metrica, lo stesso autore ha ribadito quanto gli autori da lui maggiormente apprezzati, siano quelli più attenti e capaci in quanto a tecnica: Leopardi, Guido Gozzano, Sandro Penna ed Eugenio Montale.
“Non so perché ma quando penso al dialetto nocese, mi viene automatico associarlo a un poeta del calibro di Wiliam Shakespeare: non siamo forse tutti permeati della stessa materia della poesia?” E non è forse vero che il poeta scrive per capire i suoi stessi versi? Perché siano essi stessi a rivelargli il loro significato- Giovanni Laera ha posto queste domande ben coscio del fatto che la platea avrebbe immediatamente colto la risposta già insita.
Importante ricordare al lettore che con un codice insito in ciascuna copia, è possibile scaricare gratuitamente anche la versione audiolibro. La poesia infatti (specialmente quella scritta in dialetto) più che letta, ha bisogno di essere ascoltata. L’intonazione e il ritmo possono fare una grande differenza. Dal punto di vista interpretativo, l’autore invita il lettore a non ostinarsi a cercare necessariamente significati reconditi, a voler guardare oltre. La poesia va presa alla lettera. I 27 componimenti, in cui predomina l’endecasillabo alternato al settenario, tentano di dare una risposta alla domanda insita nel titolo della celebre poesia di Pier Paolo Pasolini: “Mostro o farfalla?”.
Al lettore il compito di carpire qual è la risposta di Giovanni e di confrontarla con la propria.
Musica e poesia, lo si sa, amano andare a braccetto e così è avvenuto anche durante questa bella serata in quel di Largo Torre, grazie agli intermezzi musicali di Giuseppe Liuzzi, che ha eseguito brani in dialetto nocese di cui sono autori Giovanni Laera e suo fratello.