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Il dialetto secondo Pier Paolo, uno strumento per la difesa della realtà

11 08ildialettopasoliniNOCI (Bari) – Pier Paolo Pasolini: l’unico intellettuale italiano civile in grado di difendere, attraverso la sua poesia dialettale, il popolo dal fenomeno di massificazione ed omologazione culturale. Ha voluto definirlo così Pasolini, il neonato Centro studi sui dialetti Apulo- Lucani, in occasione del 40°anniversario dalla sua morte. L’associazione culturale infatti, come già anticipato in conferenza stampa, ha voluto ricordarlo lo scorso 6 novembre 2015 con un evento intitolato “Il dialetto secondo Pier Paolo – carne e sanghe du poéte”.

Prendendo in prestito la definizione di Moravia, il centro studi ha dunque deciso di dedicare una serata a Pasolini perché da sempre vicino ad una concezione del dialetto molto simile a quella del poeta bolognese. Pasolini infatti, ha spiegato la presentatrice della serata Chiara Fasano – al tavolo insieme a Mario Gabriele, Giovanni Laera, Pietro Gigante ed i musicisti Francesco Sgobba Palazzi e Giuseppe Liuzzi - si è avvicinato alla letteratura componendo poesie in lingua friulana, propria del paesino di nascita di sua mamma: Casarsa (Pordenone). “L’anniversario della sua morte” ha commentato ancora Fasano, “è diventato per noi pretesto per discutere della sua concezione del dialetto molto vicina alla nostra. Egli è stato testimone della trasformazione dell’Italia dal dopoguerra agli anni 70. Capì quello che stava succedendo intorno a lui e si è accorse della trasformazione degli italiani non solo dal punto di vista sociale e culturale ma antropologica: gli italiani non erano più popolo ma massa. Il dialetto era dunque per lui un valido strumento di difesa di quell’Italia che andava via via sempre più omologandosi culturalmente: il dialetto era ancora visione della realtà; quella realtà da difendere con le unghie e con i denti”.

Di qui quindi la volontà di ripercorrere il Pasolini dialettale dal punto di vista poetico, cinematografico e musicale. Come da programma Giovanni Laera, Pietro Gigante e Mario Gabriele hanno letto poesie tradotte dal dialetto friulano di Pasolini in dialetto nocese: quelle stesse poesie che Pasolini scrisse perché consapevole che “per essere chiari bisogna essere folli” e che “tutte le cose si vivono soltanto ma se si dicono si dicono in poesia”. Al pubblico accorso in sala infatti i tre traduttori hanno propostoe poesie tratte da “Poesie a Casarsa” in cui ricorre spesso la figura di Narciso: poesie popolate da giovinetti in cui si riflette l’io del poeta; poesie vergini come il dialetto con cui sono state scritte ma piene di echi letterari. Versi intrisi di innocenza e peccato, passione, vita, amore, morte: realtà.

Ed infine il Pasolini cinematografico e musicale. Fra gli anni 50 e gli anni 60 Pasolini tralascia la letteratura e si avvicina al cinema, che sta diventando un fenomeno di massa. Per riuscire ad arrivare ad un numero maggiore di persone il poeta decide di trattare la stessa materia delle sue poesie attraverso l'utilizzo delle immagini. Sempre in difesa del mondo preborghese e della realtà pura delle periferie, Pasolini produce fra il 1961 e 1962 Accattone e Mamma Roma, entrambi film le cui immagini sono state proiettate durante la manifestazione. Per concludere Il Centro studi ha proiettato anche alcune immagini tratte da “Il Vangelo secondo Matteo”, interamente girato fra le nostre terre (Matera, Laterza, Gioia del Colle, etc) Noci compresa in rappresentanza di quel popolo ancora legato alle tradizioni ed alla "pietra". 

Per concludere, il passaggio al Pasolini musicale. Giuseppe Liuzzi e Francesco Sgobba Palazzi hanno interpretato canzoni di e per Pasolini come "C'è forse vita sulla terra", "Storia Sbagliata" di De Andrè e Bubola, Cosa sono le nuvole. 

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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