NOCI - Un bel traguardo tondo quello di “Settembre in Santa Chiara”, evento storico culturale organizzato e promosso dal Centro Culturale Giuseppe Albanese, Biblioteca comunale di Noci, Centro Umanesimo della Pietra di Martina Franca, Terra Nucum e Puglia Trek&Food.
Il ciclo di conversazioni storiche che intreccia la macro storia con la micro storia locale, compie infatti 20 anni. Questa XX edizione, però, coincide anche con un altro anniversario importante, che non poteva non essere argomento di discussione e riflessione: i 200 anni dalla morte di Napoleone Bonaparte. Proprio a lui, l’uomo “fatale” è stato dedicato il primo dei 4 incontri in programma, svoltosi ieri all'interno del Chiostro delle Clarisse, a partire dalle 19:45 e nel pieno rispetto delle norme anti contagio da covid19. Cosa caratterizzò la modernizzazione dei Napoleonidi del Mezzogiorno? E quali impronte napoleoniche è possibile rintracciare a Noci e dintorni? Ne hanno parlato, dopo la breve introduzione del direttore della Biblioteca Comunale, Dott. Giuseppe Basile, i due relatori della serata, ovvero il Prof. Carmine Pinto, docente all’Università di Salerno e direttore dell’Istituto per la Storia del Risorgimento Italiano e l’avvocato Josè Mottola, saggista storico, nonché presidente del Centro Culturale Giuseppe Albanese.
Napoleone Bonaparte: un nome che anche le persone meno acculturate di questa terra hanno sentito pronunciare almeno una volta; un nome che evoca immediatamente grandezza. Un personaggio caratterizzato da luci e ombre, che è comunque da annoverarsi tra coloro che hanno lasciato nella storia un’impronta indelebile al livello mondiale. Con il suo riformismo, attuato imponendosi anche in maniera molto autorevole, il Bonaparte è colui che è riuscito a trovare una chiave privilegiata per aprire le porte all’età moderna, per fare piazza pulita di tante convenzioni e convinzioni ormai obsolete, che in un certo senso “immobilizzavano” la società. Basterebbe solo pensare al codice civile, per averne un’idea immediata. Un codice civile che, certo ha subito negli anni le sue integrazioni e modifiche, ma che è ancora in vigore, e che fu Napoleone a scrivere. Padre del codice ma anche dello stato civile. Con Napoleone, perché l’esistenza di un individuo sia registrata da qualche parte, non si deve più essere necessariamente battezzati. In buona sostanza, il diritto alla cittadinanza non passa più attraverso un fonte battesimale, ma attraverso un registro civile. La Chiesa viene estromessa dalla maggior parte delle questioni politiche e demaniali e le vengono addirittura confiscati molti beni. Viene abolita la feudalità, tant’è che il nostro concittadino Giuseppe Leonardo Albanese venne condannato a morte dagli avversari politici dei napoleonidi proprio per aver sostenuto una legge sull’abolizione del feudalesimo. Grande è l’eredità culturale, soprattutto in termini di lingua e di costumi, che Napoleone ha lasciato dietro di sé. Se passiamo mentalmente in rassegna tanti termini presenti nel nostro dialetto, non potremo non accorgerci di come essi derivino direttamente dal francese.
Ma come si riuscì a mettere in piedi un governo efficiente in pochissimi giorni? No, non fu una magia, quella dei francesi, ma semplicemente una questione di calcolo e di esperienza politica. Avevano infatti compreso che occorreva calcolare i rapporti di forza e cercare di riscuotere consensi. Si trattava di radunare i nemici dei Borboni e di affiancare loro un partito repubblicano, che offrisse la possibilità di avere delle terre a prezzi contenuti e soprattutto di accedere a ruoli politici di potere (sindaci, amministratori ecc). Veniva inferto il colpo di grazia alla struttura feudale e creato un blocco sociale nuovo, che si fondava su tre pilastri: terra, potere e mito. E a Napoli, il mito lo incarnava Gioacchino Murat: bello, fisicamente prestante, coraggioso e tenace. Erano questi i requisiti che al tempo costituivano la fama di un sovrano. In buona sostanza, Murat era per la società dell’epoca quello che i divi di Hollywood o le più famose pop star sono oggi per noi e in breve tempo, seppe conquistarsi l’affetto incondizionato dei napoletani. Anche questa, però, non fu una rivoluzione indolore. Nessuna lo è, in fin dei conti, o non verrebbe usato il termine rivoluzione. Si pongono quindi tre importanti questioni: quella della sovranità e dello stato; quella delle classi e della proprietà e quella della Nazione e della Politica.
Per quanto riguarda il primo punto, Napoleone sovverte l’idea che la sovranità avesse carattere divino e che il diritto a esercitarla venisse trasmesso in maniera ereditaria. Dio e la famiglia non sono più i pilastri della sovranità, ma contano le capacità di esercitare la stessa. Nasce quindi il plebiscito e si stipula una sorta di patto tra chi esercita il potere e il resto della società. Cambiano anche le regole che definiscono le questioni demaniali prima collegate rigidamente all’appartenenza a una o all’altra classe sociale. Ultima ma non meno importante, la questione del come la Nazione potesse coincidere con lo Stato, con quel progetto europeista che Napoleone sognava. La Nazione Napoletana viene fusa con quella Italiana. In conclusione, Manzoni rimandava ai posteri “l’ardua sentenza” riguardante la veridicità della sua gloria, e oggi, molti potrebbero non essere ancora in grado di dare una risposta certa, ma unanimemente, occorre ammettere che “l’orma del suo piè mortale” è rimasta indelebile sul terreno della storia. Un’impronta che lo rende ancora oggi, a 200 anni esatti dalla sua scomparsa, ancora vivo e presente.