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Sul finire del 2018: è l’alba di un nuovo anno - EDITORIALE

nocidallaltoNOCI (Bari) - Saluto il 2018 sperando che vada via una nuova prepotenza. Saluto il 2018 sperando che entri presto nelle nostre vite un nuovo stimolo che più tardi richiamerò. Saluto il 2018 chiedendo a chi mi legge di aprire un attimo gli occhi e di prestare attenzione al mondo che ci circonda. Non che io creda che chi mi sta leggendo lo sappia fare meglio di me – ne abbiamo ancora di strada da fare – ma penso che sia arrivato il momento di chiederci che fine abbiano fatto i nostri sentimenti e la nostra interiorità. Se viviamo ogni giorno soffermandoci sulle esperienze ed i nuovi bagagli interiori da conservare nel nostro armadio che si chiama vita o se ogni esperienza debba prima necessariamente passare attraverso i social network ed essere depositato nell’archivio delle stories instagram per poi arrivare – forse – nella nostra memoria, nel nostro cervello.

L’altro giorno mi è capitato, dal parrucchiere, di prestare attenzione al comportamento di una donna, una madre, in preparazione per un matrimonio. E mi è anche capitato, di lì a qualche istante, in totale confidenza, di chiederle per quale occasione si stesse preparando, chi fossero gli sposi e dove fossero diretti per il ricevimento. Questa donna, una madre, lo ripeto, aveva già postato su instagram – nel periodo che era intercorso fra la fine dell’acconciatura ed il mio saluto – circa due o tre stories con le fotografie che ritraevano i suoi capelli. Ne sono susseguite, nel corso della giornata, altre numerose che ne raffiguravano la sua impeccabile silhouette: i suoi fianchi, le sue gambe, i suoi capelli, la sua incantevole bellezza. Degli sposi, della coppia che di li a quel momento avrebbe dato vita ad una nuova famiglia, neanche una fotografia. Nessun augurio dedicato o altro. Puro narcisismo. Post singoli che riflettevano l’immagine della propria bellezza. Esaltazioni di esteriorità che raccontano con immagini e zero parole quello che vorremmo essere o che ci piacerebbe essere ma mai quello che siamo e viviamo davvero, di pancia, o col cuore.

Grazie ai social network ho ricostruito storie giornaliere di coppie e di fidanzati che sentivano la necessità imperterrita di dire al mondo dove si trovavano, che cosa stavano guardando, cosa stavano mangiando. Ogni secondo, ogni attimo, ogni minuto, ogni ora, ogni giorno. Come fossero puzzle, ho ricostruito le loro giornate, quasi fosse un esperimento sociale. Mi sono chiesta quindi se quella coppia si fosse recata in quel determinato luogo perché lo voleva veramente o perché “faceva figo” raccontare al mondo esterno che si era appunto lì.

Ho visto finti rocker andare ai concerti rock per postare su facebook la foto del concerto senza sapere una sola parola inglese o italiana dell’artista o della band. Ho visto politici scrivere su facebook frasi di circostanza per le occasioni o mettere like perché “va bene buttarsi, può servire sempre”. Ho letto comunicati privi di sostanza arrivare in redazione, del tutto sgrammaticati, pretenziosi di pubblicazione perché “dovete parlare di noi, fateci un articolo. Parlate di tutti, fatelo anche per noi”.

Posso dire che il 2018 ha riservato per me la constatazione che il nostro mondo – quello esteriore, si badi bene - ha intrapreso sempre più la via della digitalizzazione, della connessione e della mediazione. Nulla di nuovo, mi direte commentando, ma stiamo raggiungendo livelli assurdi di pochezza interiore e ricchezza esteriore. Concetti che prima potevano apparire come semplici, addirittura scontati, come la reputazione, vengono in un certo qual modo risemantizzati alla luce della costante rivoluzione tecnologica che da anni permea il vivere quotidiano. La web reputation, studiata per i brand, ha completamente travolto anche la nostra personalità, la nostra interiorità, le nostre relazioni. Controlliamo molte più volte gli schermi dei nostri cellulari degli occhi dei nostri genitori e dei nostri amanti, o peggio ancora dei nostri figli. Ci addormentiamo solo dopo aver bloccato lo schermo del nostro cellulare e magari abbiamo dimenticato di dire buona notte a chi vive con noi.

I risultati li notiamo con i sintomi della depressione, della disperazione se ad una foto sono arrivati solo 4 likes al posto dei nostri soliti 50 standard, incapacità di comunicare davvero con il mondo esterno quando ci ritroviamo a tu per tu con un’altra persona, perdita della capacità dell'individuo di ragionare e di sviluppare una propria capacità critica. Sono sicura che non sarà questo passaggio al 2019 a rivoluzionare immediatamente le cose. Non chiedo e non spero che il mondo digitale svanisca. Chiedo solo che non influisca sul nostro io. Che non lo modifichi e non lo cancelli, ma che lo condivida soltanto. Il mondo digitale è bellissimo ed è un luogo in cui vogliamo starci tutti. Ma Dio salvi coloro i quali sapranno scegliere “come” starci, scindendo la sfera privata da quella pubblica.

Auguro un buon inizio anno a tutti voi.

 

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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