NOCI - Lo scorso 24 marzo, presso il Chiostro di San Domenico, a partire dalle ore 17:30 si è svolto un interessante incontro- dibattito organizzato dall’Uten (Università della Terza Età). Il tema trattato è uno dei più attuali e discussi degli ultimi tempi: il fine vita. Durante la serata, introdotta dal Presidente Uten Cesareo Putignano e moderata dall’avvocato Michele Ficco, sono intervenuti diversi professionisti in campo medico e giuridico.
Nello specifico: il Prof Giovanni Giorgio, ex procuratore della Repubblica e incaricato del corso di diritto penale presso la LUM di Bari; il Dott. Vincenzo De Filippis, Presidente della Federazione Europea Associazioni Mediche cattoliche nonché Direttore del dipartimento di sicurezza e qualità della ASL di Bari e il Dott. Nicola Colaianni, Parlamentare, Giudice della Corte di Cassazione e Professore Ordinario di Diritto Ecclesiastico
Che si sia credenti o meno in una qualsivoglia religione o totalmente laici, la vita è da considerarsi comunque un dono d’amore. C’è chi lo ritiene un dono divino e chi un dono d’amore dei propri genitori, ma sempre un dono essa rimane. Cosa accade però quando questo dono prezioso si trasforma nel peggiore degli incubi? Quando tocca convivere con una sofferenza che valica, anzi sfora ampiamente il limite del sopportabile? Quando il nostro non è più da considerarsi un vivere, ma un mero e triste esistere che non offre possibilità di sbocco ma procede lentamente sulla strada che porta inevitabilmente alla morte? Di certo, per chi non si trovi nella condizione di vivere sulla propria pelle tutto questo, comprendere potrebbe risultare pressocchè impossibile. Eppure è necessario chiederselo: se accadesse a noi, vorremmo che fosse qualcun altro a decidere? Il centro del dibattito è stato proprio questo. Recentemente, la Corte Costituzionale ha respinto il referendum che avrebbe dovuto riguardare proprio l’eutanasia. Vero è che l’abrogazione, anche parziale, del reato dell’omicidio del consenziente, avrebbe portato a conseguenze catastrofiche soprattutto ai danni delle persone più fragili. Sarebbe però opportuno operare una distinzione tra eutanasia, suicidio assistito e sedazione profonda. L’eutanasia implica la partecipazione di una terza persona che procuri intenzionalmente la morte al paziente, sotto esplicita richiesta e nell’interesse dello stesso. Quando si parla di suicidio assistito, invece, è il paziente che assume autonomamente la sostanza letale. Si dice assistito in quanto una equipe medica prepara il farmaco o il macchinario che aiuterà l’assunzione dello stesso da parte del paziente (in special modo se immobilizzato) L’ultimissimo gesto, quello che porrà definitivamente termine alla vita, fosse anche solo premere un pulsante, resta però appannaggio dell’ammalato.
Cosa totalmente diversa è la sedazione profonda, nella quale vengo usati farmaci totalmente diversi, ovvero potenti sedativi che addormentano il paziente rendendolo incosciente e impedendogli quindi di combattere contro un dolore insopportabile. Un paziente così sedato, è come se dormisse quindi profondamente, in attesa che la vita volga naturalmente al termine. Non tutti però sono disposti ad accettare questa condizione, poiché inorriditi dall’ingresso in questa “lunghissima notte” che accrescerebbe soprattutto la sofferenza delle persone care. Anche a Dj Fabo (tutti avremo sicuramente sentito parlare del suo caso) respinse con grande autodeterminazione questa proposta, battendosi con tutte le sue forze per una morte rapida. La sentenza che vide assolvere dall’accusa di omicidio del consenziente Marco Cappato, esponente dei Radicali che assistette Dj Fabo, fu in un certo senso storica, ma non bastò a cambiare definitivamente le cose. Prima di Dj Fabo, si erano battuti i familiari di Luca Coscioni, di Eluana Englaro e Piergiorgio Welby. Ad oggi, in Italia, l’eutanasia in Italia è ancora un reato legalmente punibile, seppur con una pena di gran lunga inferiore a quella prevista per un omicidio volontario. Per quanto concerne invece il suicidio assistito, perché possa essere messo in atto, la Corte Costituzionale ha stabilito che debbano sussistere 4 condizioni imprescindibili: il paziente deve essere affetto da una patologia irreversibile per la quale non esista alcun tipo di cura; la stessa patologia deve essere fonte di sofferenze insopportabili sia al livello fisico che psichico; il paziente deve essere totalmente dipendente da un macchinario senza il cui sostegno la sua vita cesserebbe entro breve; l’ammalato, pur in una condizione tanto complicata dal punto di vista clinico, deve essere in grado di poter prendere delle decisioni in totale libertà e autonomia. Resta inviolabile, per ogni paziente, il diritto di autodeterminarsi, e anche di morire con dignità. Il medico può solo limitarsi ad illustrare con completezza ed esaustività quale sia il quadro clinico e quali i trattamenti che sia possibile applicare. Nessuno, in buona sostanza, può essere sottoposto a un trattamento sanitario senza il suo esplicito consenso, salvo nei casi in cui non si sia nel pieno possesso delle proprie facoltà mentali e quindi della capacità di decidere. Solo in questi casi viene effettuato il T.S.O (trattamento sanitario obbligatorio). Anche gli stessi medici stanno rendendosi conto di quanto sia importante acquisire il consenso del paziente prima di intervenire con qualsiasi trattamento. Dalla medicina affidataria di una volta, dove il paziente considerava legge tutto quanto venisse opinato dal medico, si sta passando a una medicina di tipo contrattuale, dove medico e paziente vagliano assieme le decisioni.
Può rivelarsi importante (anzi fondamentale) sapere che è possibile redigere quello che si chiama testamento biologico. Si tratta del vergare per iscritto quelle che sono le nostre volontà e disposizioni nel caso in cui venissimo a trovarci in una condizione patologica irreversibile e profondamente invalidante, che ci causi enormi sofferenze fisiche e psicologiche. Ci si recherà poi in comune, assieme ad un fiduciario, per depositare il tutto. Le nostre volontà così espresse, saranno vincolanti nel momento in cui dovessimo trovarci nelle condizioni di non poter più esprimere le nostre volontà. Non è da escludere che con l’avvento del certificato sanitario, sia in futuro possibile depositare il tutto anche nelle mani del medico di famiglia.